Non solo il golf club, i mafiosi volevano prendersi hotel, negozi e locali a Jesolo

Non solo il golf club, i mafiosi volevano prendersi hotel, negozi e locali a Jesolo
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JESOLO - Eraclea ai camorristi, Jesolo agli ndranghetisti. Una spartizione decisa a tavolino? Difficile stabilirlo. Certo che a leggere le carte delle inchieste, questa combine pare tutt'altro che campata in aria. Ma una conferma indiscutibile c'è. Il litorale veneto, ai confini con il Friuli, fa gola alla criminalità organizzata. E non da ora. L'operazione della Dda di Torino, cui è stato trasmesso il fascicolo aperto dalla Dda lagunare, che ha svelato l'infiltrazione della cosca calabrese dei Bonavota nella gestione del Golf Club di Jesolo non fa altro che confermare come e quanto il veneziano sia stato, sia e stia diventando terreno di conquista delle mafie. La diffusione della notizia, all'indomani della duegiorni di audizioni, prima a Verona poi a Venezia, della Commissione parlamentare antimafia presieduta da Nicola Morra, ha rilanciato l'allarme e soprattutto ha messo nuovamente in guardia sulla possibile sottovalutazione o addirittura rimozione del problema.

 
PRIMO INTERROGATIVO
Come è potuto avvenire il contagio mafioso anche in uno dei più esclusivi e rinomati green d'Italia se non d'Europa? E' l'interrogativo che si impone a seguito delle puntuali indagini dei carabinieri del Ros di Padova sulla società, la Golfone srl poi fatta fallire e rinata con il nome di New Golfone srl, che dal 2014 ha preso in carico al Golf Club di Jesolo la conduzione degli impianti sportivi e ricettivi e della loro manutenzione, è che da quattro mesi è sotto sequestro a seguito dell'arresto per 416 bis dell'amministratore, Antonino Defina, vibonese di Sant'Onofrio. Il 53enne, insieme ai fratello Francesco detto Franto e Salvatore detto Turi Arona, è considerato dagli investigatori al vertice del sodalizio affiliato ai Bonavota e attivo nel torinese, in particolare fra i comuni di Carmagnola e Moncalieri. Ancora una volta, come sempre avviene quando si tocca la mafia, la cura si trasforma in cancro. Silenzioso e spesso letale.

L'INGRESSO SOFT
L'ingresso nella struttura attraverso la società che al tempo era titolare del contratto di gestione, la International Golf Holding, è stato soft: anzi accolto quasi in maniera risolutiva per superare un momento di crisi di liquidità. Il tutto all'oscuro della proprietà che in questa vicenda è parte offesa e che si ritrova a dover fronteggiare anche il mancato introito dei 200mila euro annui di canone ora che è riscosso dall'amministratore giudiziario nominato dal Tribunale di Torino. Senza contare il danno d'immagine che deriva da un'inchiesta in cui il reato contestato agli indagati è quello di associazione per delinquere di stampo mafioso. 

LE MIRE SUGLI HOTEL

Dai riscontri investigativi, Defina e compari, erano intenzionati ad allargare i loro interessi a Jesolo anche acquisendo alberghi, negozi e altri locali al di fuori del perimetro della struttura golfistica. L'obiettivo era quello di riciclare i soldi sporchi derivanti dal traffico di droga, dalle estorsioni, dalle rapine, dagli incassi delle slot machine installare in bar e tabaccherie, dall'emissione di fatture per operazioni inesistenti che servivano a svuotare le società entrate nel loro mirino e poi lasciate morire. I piani dei calabresi sono stati bruscamente interrotti dall'operazione Carminius , con il blitz del Ros dell'Arma e del Gico della Finanza, condotto lo scorso 18 marzo fra Vibo Valentia e Torino.
Monica Andolfatto Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino