La bella vita del narco di Noale: «Guadagno 10 mila euro a settimana»

La droga sequestrata a Giuseppe Speranza
Cene in ristoranti stellati, auto di lusso, entrate mensili da calciatore. La bella vita dei narcotrafficanti dell’entroterra veneziano documentata dalle indagini dei...

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Cene in ristoranti stellati, auto di lusso, entrate mensili da calciatore. La bella vita dei narcotrafficanti dell’entroterra veneziano documentata dalle indagini dei carabinieri del nucleo investigativo lagunare e messa nero su bianco nell’ordinanza del tribunale del Riesame. Tutto girava intorno a Giuseppe Speranza, 42enne noalese originario di Napoli, diventato negli anni, secondo gli inquirenti, un locale signore della cocaina. Nei giorni scorsi, dopo il via libera della Corte di Cassazione, i carabinieri hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di otto degli indagati, finiti agli arresti domiciliari. La Procura aveva chiesto il carcere per 14 persone ma, nella primavera dello scorso anno, il giudice per le indagini preliminari Luca Marini aveva rigettato integralmente l’istanza della pubblica accusa. Il pm Petroni si era quindi rivolto al tribunale del riesame di Venezia che aveva accolto parzialmente il suo atto di appello disponendo appunto gli arresti domiciliari per otto persone: Francesca Asciano, 43 anni di Noale, Davide Baldan, 49 anni di Camponogara, Flamur Kreshpaj, 48 anni di Noale, Ciro Pinto, 51 anni di Mestre, Idriz Peza, 26 anni di Tribano, Nicola Artistico, 44 anni di Favaro, Ervin Ibra, 28 anni di Borgoricco e Moncef Mosbah, 59 anni di Pianiga. Nessuna misura cautelare per Speranza in quanto finito in manette in flagranza di reato in passato e già condannato in relazione al chilo e 200 grammi di cocaina di cui fu trovato in possesso all’epoca dell’arresto. 


LA RICOSTRUZIONE
Il tribunale del Riesame nella sua ordinanza ripercorre le attività del gruppo, associato «allo scopo di commettere più delitti in materia di stupefacenti e in particolare di garantire una costante immissione di partite di cocaina venduta sia al dettaglio sia in partite più consistenti». Speranza era «promotore e organizzatore dell’associazione» e coordinava «i rapporti con i fornitori e organizzava le consegne», aiutato dalla compagna e convivente Francesca Asciano. Simion era, come Kreshpaj, custode (non solo di droga nel suo caso, ma anche di un vero e proprio arsenale da mettere a disposizione dell’associazione) e corriere, mentre Ciro Pinto (chiamato anche “Don Ciro”) aveva il compito di reperire nuovi canali di approvvigionamento. Quello più collaudato era il rifornimento dagli albanesi (Peza e Ibra) che importavano la cocaina dall’Olanda. Tra gli indagati anche un poliziotto in pensione che si era intestato il mutuo per un appartamento e doveva accollarsene un secondo per l’acquisto di una tabaccheria, beni che però di fatto sarebbero stati a tutti gli effetti di Speranza. 


«VENGONO TUTTI DA ME»
Lo spessore dei soci di Speranza si capisce bene nelle intercettazioni. In una ambientale, durante un accordo sulla gestione delle forniture, “Don Ciro” lo dice chiaramente ad Artistico (vecchia conoscenza delle forze dell’ordine con un passato tra reati contro la persona e la famiglia, maltrattamenti, truffa, ricettazione): «I marocchini vengono a comprare da me». E gli spacciatori non erano da meno. Speranza è il primo a tessere le lodi di un suo cavallo di razza come Mosbah (all’epoca agli arresti domiciliari ma comunque ottimo venditore): «Questo ne fa proprio assai...sta agli arresti domiciliari con il braccialetto...per fortuna tiene il braccialetto questo...».


LA BELLA VITA


La parte del leone, però, era quella di Speranza. I guadagni? Alti, tanto che parlando con un amico arriva quasi a lamentarsi del troppo lavoro. «Non c’ho più vita così, ora mi sto prendendo in mano i grossi. Guadagno 8/10mila euro al mese, mi bastano». «40 mila euro al mese?!», chiede stupito l’interlocutore. «Eh, io solo con i piccolini ne guadagno 150, a non mi voglio allargare nemmeno assai, tanto a che mi serve». E uscendo da un ristorante, parlando con la compagna dopo una cena da 300 euro, rincara la dose: «Ma sìì, ho guadagnato 700 euro rischiando 10 anni di galera. Sono venuto qui e ne ho mangiati 300, cazzo me ne fotte...». 
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Il Gazzettino