Schianto Msc Opera, 8 verso il processo. Impatto dovuto a un guasto ignorato e all'alta velocità

VENEZIA - La strada l'aveva aperta a inizio estate la consulenza tecnica affidata dai sostituti procuratori Andrea Petroni e Giorgio Gava per capire come mai la mattina del 2...

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VENEZIA - La strada l'aveva aperta a inizio estate la consulenza tecnica affidata dai sostituti procuratori Andrea Petroni e Giorgio Gava per capire come mai la mattina del 2 giugno 2019, nel giorno della Sensa, l'Ascensione, quando Venezia celebra il suo legame embrionale con il mare, una nave da crociera, la Msc Opera, si fosse potuta schiantare sulla banchina di San Basilio, al limitar del canale della Giudecca, investendo un battello fluviale ormeggiato, la River Countess.


Su quella consulenza che inchiodava il comandante del grattacielo galleggiante e assolveva, applaudendoli, i piloti dei rimorchiatori, si basa ora l'avviso di conclusione delle indagini preliminari notificato a otto dipendenti di Msc, accusati di pericolo di naufragio per l'incidente a San Basilio. L'atto - in risposta del quale sono già arrivate in procura memorie difensive - è in pratica l'anticamera alla richiesta di rinvio a giudizio.
 

LA DINAMICA
Otto gli indagati, tra cui il capitano dell'Msc Opera che, in avaria e fuori rotta, spaventò Venezia materializzando l'incubo di sempre. Per i consulenti della procura l'incidente fu il capitolo finale di una serie di errori e mancanze.

Sono le 7.26 del 2 giugno 2019 e fuori dalla bocca di porto del Lido, sui monitor della plancia dell'Msc Opera, di ritorno in laguna dopo una crociera nel Mediterraneo, compare un allarme a causa di un'avaria ad un modulo elettrico del quadro elettrico che alimenta, tra le altre, la timoneria dalla plancia, il controllo dei giri dell'elica. Allarme completamente non considerato dal capo elettricista, dal I ufficiale di macchina e dal direttore di macchina. E sì, scrivono i consulenti, che per ripristinare il quadro tecnico «sarebbe stato sufficiente (...) riarmare due interruttori».

In definitiva l'incidente con la River Countess - che sarebbe anche affondata se l'angolo d'impatto fosse stato diverso - è stata la conseguenza di «una sottovalutazione dell'allarme» delle 7.26. Per un'ora infatti l'alimentazione della timoneria dalla plancia, del controllo dei giri dell'elica e, quindi, della velocità della nave, non veniva più assicurata dalla rete principale ma da un gruppo di continuità che funzionava regolarmente per circa un'ora, a fronte dei 30 minuti previsti.

Come se non bastasse, alle sottovalutazioni si univa anche la velocità tenuta dal grattacielo galleggiante che tra il Lido e il forte Sant'Andrea superava, in alcuni tratti, il limite di 8 nodi; e quello di 6 nodi tra il forte Sant'Andrea e San Basilio anche se «il comandante avrebbe dovuto transitare ad una velocità sempre inferiore a 5.8 nodi». Un'«imprudenza» che si lega ad altre manovre sbagliate e all'aver attivato in ritardo e non correttamente le varie procedure d'emergenza.

Esaurita la carica delle batterie che aveva tenuti accesi i comandi della Msc Opera per un'ora, di colpo la nave era diventata ingovernabile con timone inutilizzabile e sistemi di propulsione ordinari fuori uso. Di quanto stava succedendo da oltre un'ora, l'equipaggio della Msc Opera se ne accorge solo alle 8.27.16. Inutili a quel punto le manovre di correzione e l'ancora: la nave procedeva a 6.8 nodi. 

ANGELINA E IVONNE

Secondo la consulenza dei pm Petroni e Gava ad evitare un epilogo più fosco era stato proprio «l'intervento dei rimorchiatori Angelina C e Ivonne C» (non più sotto inchiesta), la presenza della banchina di San Basilio, l'«azionamento» del fischio e la prontezza dell'equipaggio del battello fluviale. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino