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VENEZIA - «Volevamo raccontare cos'è la fame di vivere». È questo, forse più della musica, l'immenso testamento di Ezio Bosso. Ed è quello che emerge da Le cose che restano, un appassionato documentario musicale a firma Giorgio Verdelli, prodotto da Sudovest Produzioni, Indigo Film con Rai Cinema e presentato ieri in anteprima fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. «Di Ezio mi interessa la presenza, non il ricordo», ha chiarito subito il regista, già autore di Paolo Conte, Via con me che del musicista torinese ha voluto tracciare un ritratto in prima persona. «A montaggio quasi ultimato - racconta ancora - il nipote Tommaso ci ha inviato un brano inedito, Le cose che restano, e abbiamo stravolto tutto. Non credo esista niente di più affine allo spirito di Bosso dell'improvvisazione, come ricerca continua».
L'INIZIO
Il film traccia anzitutto di Bosso la parabola biografica iniziale, quella che pochi conoscono.
Altro rapporto inedito con Pino Daniele, ricostruito dal figlio Alessandro. «Su questo avevo un vantaggio - commenta ancora - avevo girato un documentario su Pino e intervistato Bosso. Avevano un progetto insieme che non si realizzò perché Ezio accettò il lavoro con Salvatores, ma rimasero in contatto sempre». È indubbio che i rapporti umani e artistici più longevi furono con Enzo De Caro e Silvio Orlando. «Tutti mi raccontano la stessa cosa: quando Ezio entrava in scena, gli altri sparivano - aggiunge ancora Verdelli - aveva una tale istintiva capacità di comunicazione che intorno a lui calava l'ombra». Nel documentario emerge anche la commossa, dolcissima fragilità della sorella Ivana. Ma il centro della narrazione resta la musica. «Ho voluto raccontare il musicista, io non faccio gossip - chiude Verdelli -. Non mi sembrava giusto violentare il personaggio indugiando in eccesso sul privato. Ho cercato di interpretare quello che Bosso avrebbe voluto far sapere di sé».
Il Gazzettino