Mose, l'opera infinita e il silenzio (scandaloso) degli impotenti

Mose, l'opera infinita e il silenzio (scandaloso) degli impotenti
VENEZIA - Cinque miliardi e 493 milioni. Più del doppio di quanto destinato in Legge di bilancio al taglio del cuneo fiscale. È il costo finale del Mose, l'opera...

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VENEZIA - Cinque miliardi e 493 milioni. Più del doppio di quanto destinato in Legge di bilancio al taglio del cuneo fiscale. È il costo finale del Mose, l'opera che dovrebbe salvare Venezia dall'acqua alta e che invece, come si è visto martedì sera, è un fantasma che giace nei fondali tra mare e laguna, aggredito da cozze e ruggine e oggetto di tour da parte di ingegneri idraulici e comitive curiose. 


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Del resto la fauna marina e le magagne dell'usura hanno avuto buon tempo per attecchire, negli ultimi 5 anni. Anziché accelerare verso la conclusione, i lavori per il Mose sono infatti avanzati di una percentuale minima, annaspando e arrancando. Un po' come Dorando Petri alla maratona delle Olimpiadi del 1908. Solo che di epico, in questa vicenda c'è ben poco. Non fosse altro che per quel miliardo (di euro) sparito tra tangenti e creste nello scandalo esploso nel 2014.
 
Tuttavia - concepito dopo anni di gestazione e polemiche dalla Legge obiettivo del 2003 - più che da ruggine e cozze il Mose è rimasto prima di tutto ingabbiato da ruberie, polemiche, lungaggini, liti, invidie, burocrazia, cause. Tutti si aspettavano che, fatta piazza pulita del passato, l'opera viaggiasse con il vento in poppa verso la fine, salvando Venezia. Invece si è arenata, malgrado la nomina di commissari ad acta che non hanno saputo, potuto o voluto accelerare verso il traguardo. Cosa è successo? 
LA STRUTTURAÈ successo soprattutto che la struttura incaricata di finire l'opera, vale a dire il Consorzio Venezia Nuova, è andata in tilt. Alcune grandi aziende che ne facevano parte sono saltate dopo il ciclone giudiziario, lasciando spazio alle piccole, che hanno cercato di portare avanti i lavori. Senza fare i conti, però, con un Moloch organizzativo e gestionale (la struttura del Consorzio) nel quale si sono arenati i milioni che lo Stato continuava a elargire attraverso il proprio ente, il Provveditorato alle opere pubbliche, di fatto il controllore e il collettore dei finanziamenti pubblici. È accaduto quindi che da un lato il Consorzio in questi anni abbia continuato a chiedere soldi allo Stato, ma dall'altro le imprese abbiano continuamente evidenziato che non c'erano abbastanza soldi per andare avanti. Come se il volano che doveva mettersi in moto con i finanziamenti non sia mai riuscito a ingranare. Un altro dei misteri del fantasma Mose. 
Dal 2015 il Consorzio è gestito dai commissari: prima 3, oggi 2. Il terzo non è mai stato integrato. L'ex ministro Danilo Toninelli, per semplificare le cose, aveva deciso di metterci il carico da undici nominando un super-commissario (ex carabiniere, peraltro) che scavalcasse i due esistenti. Il predestinato invece è rimasto impigliato nella crisi di governo e nel ribaltone giallo-rosso, finendo quindi negli spogliatoi anzitempo. Uno pensa che un pool di commissari, che siano 3 o 2, abbiano tutti i poteri per portare avanti la loro missione. E invece no.
IL RISULTATOMettiamoci poi i rapporti non idilliaci, per non dire pessimi, tra i commissari del Consorzio e il Provveditore Roberto Linetti, andato in pensione il 30 settembre e non ancora sostituito, se non da un vicario. Il risultato è quanto si è visto martedì sera: il Mose non si è alzato per la sua prova e Venezia si è ritrovata, di colpo, proiettata a 53 anni fa, a quel 4 novembre 1966. Come se fossero passati invano 53 anni, tante parole spese, tanta indignazione mondiale, tanto impegno, tante promesse, tanto denaro. La data di consegna del Mose è fissata al 31 dicembre 2021: quella di martedì avrebbe dovuto essere la prova generale del funzionamento, che forse avrebbe messo al riparo Venezia. Però anche questa scadenza non è stata rispettata. Colpa di problemi tecnici.

Ora tutti si attendono risposte. Ieri però sia il Consorzio sia in Provveditorato hanno scelto un silenzio imbarazzante. Al Consorzio, addirittura, un direttiva interna ha stabilito che i dipendenti potessero stare a casa, viste le condizioni meteo. Un paradosso che in una giornata di emergenza come ieri siano stati dispensati dal lavoro coloro che il Mose dovrebbero farlo funzionare. Tuttavia, insieme alle risposte, la città chiede azioni concrete: cioè che il Mose funzioni quanto prima e che la città sia coinvolta nella gestione. Perché, se i risultati dopo 5 anni di commissariamento sono questi, a cosa servono i commissari?
Davide Scalzotto
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Il Gazzettino