La fotografa che dà un nome a chi non ce l'ha: l'arte di Luisa

Luisa Menazzi Moretti
MOGLIANO - Vite ai margini, terre di confine, solitudini e spopolamenti. L'obiettivo di Luisa Menazzi Moretti fissa volti senza nome, praterie che diventano deserto. In un...

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MOGLIANO - Vite ai margini, terre di confine, solitudini e spopolamenti. L'obiettivo di Luisa Menazzi Moretti fissa volti senza nome, praterie che diventano deserto. In un dialogo tra Italia e Texas inedito per temi e contenuti. Nata ad Udine, ma oggi moglianese (con un piede negli Stati Uniti) Menazzi Moretti fino al 1 agosto sarà al MUDEC Museo delle Culture di Milano con la mostra fotografica Io sono. Il progetto, premiato nel 2017 all'International Photography Awards di New York e presentato al Sarajevo Festival Arts and Politics del 2019, arriva a Milano dopo Matera, Lecce, Napoli, Potenza. Venti grandi ritratti fotografici di rifugiati e richiedenti asilo, venti primi piani di uomini e donne le cui vicende sono sintetizzate in un oggetto-simbolo che nel ritratto portano con sé.

Come nasce questa mostra? 
«Il lavoro, realizzato in diversi centri della Basilicata nel corso del 2017, ha coinvolto migranti che provengono da sedici nazioni diverse: Afghanistan, Pakistan, Siria, Nepal, Gambia, Nigeria, Senegal, Egitto, Congo, Mali, Costa d'Avorio, Eritrea ed Etiopia. Li ho ritratti in posa, con la stessa tecnica con cui in altri decenni si ritraevano i cittadini della nuova società dello sviluppo. Cambiano, però, volti ed espressioni, che raccontano ora storie diverse dalle illusorie aspirazioni dei protagonisti di quegli anni». 


Qual è stata la spinta? 
«Voler dare un nome a queste persone. Pensarle come individui prima che migranti. Ma per farlo bisogna ascoltare le loro storie»


Oggi vive a Mogliano dopo essere stata a Venezia. Ma trascorso gli anni del Liceo e dell'Università in Texas. 
«Si, mia madre vive ancora lì. Erano gli anni Settanta e i miei si separarono. Noi seguimmo mia madre. Era la stagione dei rapimenti in Italia, i miei decisero di comune accordo che saremmo stati più al sicuro negli Stati Uniti».


Sono quei paesaggi che hanno dato origine alla mostra dedicata ai detenuti nel braccio della morte? 
«Sì. La mia casa è a 40 miglia dal braccio della morte. Conosco perfettamente i luoghi, le latitudini. E in Dieci anni e ottantasette giorni, progetto coprodotto dall'European Month of Photography di Berlino e dal Museo Santa Maria della Scala di Siena nel 2016, ho voluto raccontare come vivono i detenuti condannati alla pena di morte in Occidente. Il titolo è il tempo che in media un detenuto trascorre nel braccio della morte di Livingstone, in Texas, prima dell'esecuzione. Dalla lettura dei testi dei carcerati: lettere, interviste, diari scritti in attesa dell'ultimo giorno, risulta evidente che non esista un percorso per queste persone, costrette nell'assoluta solitudine fino all'esecuzione. Il Texas è un paese democratico, ma anche lo Stato al mondo con il maggior numero di condannati alla pena capitale».

 
Oggi il suo sguardo invece si posato sul Far West che scompare...
«Gli scatti di Far Fading West attraversano il Texas, le sue città fantasma fino al confine del Messico e dentro alle trasformazioni che ridisegnano la modernità di quella parte di mondo. Far Fading West è il mio nuovo progetto (una selezione di opere è esposta dallo scorso marzo e fino al gennaio del 2022 alla Biennale Countless Cities di Favara Cultural Farm). Qui è il Texas è luogo fisico, ma anche stato mentale e dell'anima: un Far West che sta scomparendo, sostituito da nuove città e nuove comunità»


Qual è il rapporto con Mogliano e l'entroterra veneto? 


«Ci siamo spostati da Venezia per una questione di comodità. dopo aver vissuto a Venezia e poi a Mestre (oltre che a Houston, Londra, Bologna, Napoli). Volevamo un luogo verde e siamo felici di questa scelta. Ma a Venezia continuo a lavorare, alla galleria La Salizada. dove a breve presenterò il lavoro sulla pena di morte. Inoltre a Treviso ho già collaborato con TRA Treviso Ricerca Arte». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino