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Guardandola dal punto di vista dell’ampio fronte dei contrari, è un primo sospiro di sollievo. Cambiando invece il fuoco dell’inquadratura e pensando a cosa potrebbe succedere dalla primavera, quando verosimilmente i flussi provenienti dalla Rotta balcanica ripartiranno senza freni, è una scelta che non può lasciare tranquilli. L’hot spot per i migranti da realizzare in Friuli Venezia Giulia, infatti, è quasi definitivamente uscito dai radar della politica. E si intende in questo caso la politica romana, cioè la stessa che attraverso la gestione commissariale dell’emergenza aveva promosso e caldeggiato l’operazione. Sono della seconda parte dell’anno scorso, ad esempio, le parole pronunciate a Trieste dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi: «L’hot spot in Friuli Venezia Giulia si farà», aveva detto dopo aver presieduto il comitato per l’ordine e la sicurezza. Ma adesso, come filtra dalle stanze del potere di Roma, la realizzazione di un centro per la gestione e il rimpatrio dei migranti è finito in fondo alla lista delle priorità.
COS’È SUCCESSO
Il sito di Jalmicco, vicino a Palmanova, non va più bene? L’ex caserma Lago non potrebbe ospitare i migranti? È stata determinante l’opposizione dura del fronte dei contrari? In realtà nessuna di queste tre domande ha una risposta chiara.
LA STRUTTURA
L’hot spot di Palmanova-Jalmicco non sarebbe stato gestito dalla Regione, che non ha dirette competenze in materia di immigrazione e di gestione dei flussi. «Adesso - spiegava l’assessore Pierpaolo Roberti - un richiedente asilo che mette piede nella nostra regione entra immediatamente nel circuito dell’accoglienza, che è molto complesso, sia esso figlio del sistema diffuso o concentrato. Da ora in poi, invece, l’obiettivo sarà quello di una minima permanenza sul nostro territorio». Che in soldoni è il concetto alla base del sistema di hot spot, che non comprende solamente il centro di permanenza in attesa di smistamento verso le altre regioni, «ma anche l’hub per quei richiedenti asilo che provengono da Paesi considerati sicuri». In quel caso le strade diventano due in poco tempo: «Se si appura - proseguiva - che il migrante ha diritto all’ottenimento dello status di rifugiato, allora viene incardinato in un percorso di inserimento. Se invece non possiede questi requisiti e proviene da un Paese sicuro, allora viene organizzato immediatamente il rimpatrio». L’ hot spot vero e proprio, invece, funzionerebbe diversamente. Quello di Jalmicco di Palmanova poteva contare su 300 posti circa. «Appena un migrante sarà rintracciato al nostro confine - illustrava Roberti - verrà immediatamente trasferito nella nuova struttura, dopo il fotosegnalamento e il riconoscimento di rito, oltre alle visite mediche del caso. Successivamente dall’hot spot i migranti lasceranno il territorio del Friuli Venezia Giulia per essere ricollocati in altre regioni d’Italia». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino