Moschea a Mestre, il portavoce della comunità bengalese: «Siamo 40mila musulmani, abbiamo bisogno di un posto dove pregare»

MESTRE - «A Venezia siamo 40 mila musulmani su 250 mila residenti». Kamrul Syed è portavoce della comunità bengalese in città, nonché...

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MESTRE - «A Venezia siamo 40 mila musulmani su 250 mila residenti». Kamrul Syed è portavoce della comunità bengalese in città, nonché fondatore nel 2006 e presidente dell'Associazione Venice Bangla School con sede in via Aleardi a Mestre.

Lei sostiene, dunque, che nel nostro Comune un cittadino su cinque è musulmano.
«E aggiungo che, di questi musulmani, i bengalesi sono ormai 12 mila che mediamente generano 300 figli ogni anno. Ciò che voglio dire, che emerge chiaramente dai numeri, è che questa immigrazione non è più di passaggio, si è stabilizzata, ha scelto questa città come casa, come luogo dove crescere i figli, dove venire sepolta quando morirà, e in una casa dev'esserci un luogo dove poter pregare il proprio Dio, come fanno i cristiani e i cittadini di altre religioni. La storia dell'immigrazione è così, fu così per gli italiani in Argentina o in America ed è così per noi bengalesi qui a Venezia».

L'altro giorno il consigliere comunale Gianfranco Bettin ha sostenuto che il problema del nuovo luogo di culto in via Piave 17 al posto dell'ex supermercato Pam è sorto a causa dell'insensibilità dell'Amministrazione Brugnaro perché per più di un anno quel gruppo aveva provato inutilmente ad acquistare un immobile in via Ca' Marcello.
«In realtà noi siamo sempre alla ricerca di luoghi adatti dove poter pregare, ma le trattative per l'edificio di via Ca' Marcello (l'ex Chiodi vicino alla sede dei Sindacati ndr.) sono saltate per questioni burocratiche anche legate alle banche e al cambio di destinazione d'uso. Al posto di quello, però, abbiamo trovato in affitto i locali di via Linghindal dove abbiamo aperto la moschea "Masjid Mestre". Il centro di via Piave è venuto dopo».

In via Piave i residenti del condominio si sono lamentati per i possibili rumori e in genere per la difficile convivenza con una moschea.
«Il centro di via Piave prima era in via Dante. Generalmente noi cerchiamo locali in città perché la maggior parte dei bengalesi non ha la patente, e quindi devono poterci arrivare con i mezzi pubblici o in bici, o a piedi. Nel contempo, però, le caratteristiche che privilegiamo sono quelle di luoghi distanti dagli edifici abitati. Il fatto è che non è facile trovarli, noi siamo anche disposti ad acquistare ma ogni volta che ci avviciniamo ad una struttura il prezzo cresce, oltre ad esserci difficoltà per il cambio d'uso».

Di solito i centri islamici sono oltremodo affollati e questo non favorisce i rapporti col vicinato.
«Sono pieni soprattutto di venerdì, che è come la domenica per le chiese cristiane. Ma la di là di questo è ovvio che ci sia tanta gente che vuole pregare e si riversa negli stessi posti se in questo Comune vivono 40 mila musulmani e i luoghi di culto sono appena cinque, compreso quello di via Piave e il Masjid di via Linghindal: ci sono "La Pace" di via Paganello laterale di via Torino, l'Old Jame Masjid di piazzale Madonna Pellegrina ad Altobello, e il Centro Culturale Islamico di via Paolucci alla Cita a Marghera».

Edifici abbandonati ce ne sono molti tra Mestre e Marghera, sembra impossibile non riusciate a trovare un edificio grande e non sotto a un condominio.


«Cerchiamo un luogo da acquistare che non abbia contrasti con l'amministrazione comunale né con i residenti, ma molti che abbiamo visitato si scontrano con la destinazione urbanistica. Per questo lancio un appello, ci serve un aiuto da parte del Comune per trovare un posto giusto dove fare preghiera».

 

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Il Gazzettino