Mattia, il trentenne cadorino tanatoesteta che si prende cura dell'aspetto dei morti

Mattia, il trentenne cadorino tanatoesteta che si prende cura dell'aspetto dei morti
DOMEGGE - Mattia Baldovin ha trent’anni, è nato a Domegge ma vive a Padova. Nella sua pagina Facebook l’immagine di copertina è un papavero rosso...

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DOMEGGE - Mattia Baldovin ha trent’anni, è nato a Domegge ma vive a Padova. Nella sua pagina Facebook l’immagine di copertina è un papavero rosso affiancato dalla scritta “Tanatoesteta. Per un ultimo gesto d’amore”. E quasi non sembra possibile, quando si conosce questo ragazzo sorridente e solare, che davvero abbia a che fare tutto il giorno con la morte, il dolore e le salme. Eppure Mattia è un tanatoesteta (dal greco thanatos, che significa morte), un professionista che si occupa di preparare i corpi dei defunti al saluto finale. Li trucca, colora le labbra con il rossetto alle donne, incipria le guance, lava i capelli e fa la messa in piega, con una cura e una sensibilità che si rivelano tutte quando racconto del suo lavoro. 

Perché e come ti sei indirizzato verso questa professione?
«Una volta diplomato (Mattia ha frequentato l’Ipsaa agrario Antonio Della Lucia di Feltre ndr) mi sono iscritto all’Università, facoltà di Agraria. Per pagarmi gli studi ho iniziato a lavorare, fino a quando non sono capitato in un’azienda funebre del Cadore. Intervenivo a chiamata, quando ce n’era bisogno. Questi datori di lavoro mi hanno fatto amare l’attività e grazie a loro ho frequentato il primo corso di formazione». 
Però poi ti sei trasferito a Padova. Perché?
«I pregiudizi delle persone. A vent’anni tutto vuoi sentirti dire, meno che corvo o gufo, come mi sentivo appellare io dai coetanei e non solo quando passavo o entravo in un locale. Me ne sono andato per i pregiudizi, ma non alzo bandiera bianca, anzi. Voglio tornare e aprire un’impresa nel Bellunese».
In cosa consiste il tuo lavoro?
«Preparo la salma. I fenomeni trasformativi che subentrano dopo il decesso comportano determinati effetti. Il colore della pelle cambia, per esempio. Io intervengo con speciali fondotinta per riportarlo alla tonalità naturale e, se ci sono lesioni, cucio e ricostruisco con particolari cere. Chiedo sempre una foto della persona defunta ai famigliari, perché è importante riportarla all’aspetto che aveva quando era in vita, perché i suoi cari la possano riconoscere». 
Ti è capitato di truccare e pettinare? 
«Sì, certo, spesso. Quando muore una donna, se il marito la ricordava sempre truccata e molto curata allora io metto un filo di rossetto e l’ombretto. Pettino i capelli, li piastro per renderli lisci o ci faccio i boccoli. Mi è capitato anche di applicare la tinta». 
È un ruolo importante, eppure non se ne sente mai parlare, perché? 
«Purtroppo è così, sì. La professione è sempre esistita, ma la figura professionale non è riconosciuta e non sono previsti particolari percorsi di formazione. Gli ospedali non sono preparati alla cura della salma, a volte nemmeno le imprese tant’è che mi trovo a operare in condizioni poco agevoli. Per lavare il corpo mi servo di uno spruzzino, per esempio, perché non si riesce a fare diversamente quando la salma è distesa in obitorio». 
La situazione cambierà, secondo te? 
«Me lo auguro. Io nel mio piccolo mi sto formando, frequento corsi di continuo perché voglio svolgere questo lavoro al meglio. Ho studiato psicologia del lutto, medicina legale, comunicazione. Il mio compito è accompagnare nel viaggio chi parte e chi resta, sono sempre a contatto con gli aspetti più crudi e dolorosi della vita, ma il rapporto umano che ogni volta si instaura con i famigliari del defunto mi gratifica e mi ripaga di tutta la sofferenza che vedo». 
Quindi tornerai nella tua terra d’origine? 

«Mi piacerebbe, sì. Credo che le imprese funebri in futuro debbano evolversi e diventare un punto di riferimento per tutto quanto riguarda la morte. Non ci si può limitare a seppellire la salma, va posta cura e fornite tutte le indicazioni a chi cerca risposte e conforto». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino