TREVISO - Ad oggi non è possibile ricostruire un midollo lesionato in modo completo. Ma la comunità scientifica internazionale sta sviluppando studi che fanno ben...
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FARMACI E TERAPIEIn Svizzera si sta studiando un nuovo farmaco che se iniettato entro 28 giorni dal trauma che ha reciso il midollo potrebbe indurre i tessuti a ricomporsi. I risultati concreti, però, sono ancora tutti da verificare. Vale lo stesso per le indagini scientifiche iniziate in Cina e in Corea per cercare di capire se l'impiego di cellule staminali potrebbe consentire al midollo di rigenerarsi. Anche in questo caso la prudenza deve essere massima. Proprio per non generare falsi illusioni. Le variabili, poi, sono infinite. «Senza entrare nei casi specifici, si può dire che se c'è un danno clinico ma non strutturale del midollo, allora potrebbero esserci margini di recupero -specifica Canova- così come potrebbero esserci se il trauma lesiona il midollo in modo parziale e non completo».
DIECI CASI ALL'ANNOL'unità di Neurochirurgia del Ca' Foncello registra in media dieci casi l'anno di lesione del midollo. Quasi uno al mese. La maggior parte è causata da incidenti stradali. E solo in un caso, parlando sempre di medie, c'è una paralisi che ad oggi viene considerata irreversibile. Nell'equipe di Canova opera anche Vincenzo Di Stefano, responsabile dell'unità di Chirurgia spinale di Treviso. È uno dei massimi esperti per quanto riguarda i traumi alla schiena. In quarant'anni di carriera ha visto migliaia di pazienti. Molti costretti all'immobilità proprio a causa di un trauma simile a quello che ha bloccato le gambe di Manuel. «Anni fa ho operato un poliziotto a cui avevano sparato -ricorda- la pallottola l'aveva colpito alla schiena. Era arrivata a ridosso delle vertebre lesionandogli il midollo». Anche lui è rimasto paralizzato.
FATTORE PSICOLOGICO«Sono stati studiati e si studiano ancora molti protocolli farmacologici -sottolinea Di Stefano- alla base ci sono teorie assolutamente affascinanti. Ed è giusto che si continui su questa strada fino a quando non si arriverà a qualche risultato. Ma fino a questo momento non ci sono stati risvolti pratici». La cosa più importante è che le persone che si ritrovano immobilizzate non pensino che la loro vita sia conclusa. «Serve forza e coraggio -dice il medico- ci capita spesso di ammirare dei pazienti sognando di poter avere almeno una parte della loro grinta». Su questo Manuel, assieme alla sua famiglia, ha già dimostrato di essere un campione, come quando sfrecciava in piscina. E da quanto ha già detto dall'ospedale, ha tutta l'intenzione di non mollare e di andare avanti, sostenuto dalla sua famiglia e dalla Federnuoto che ha assicurato che sarà fatto tutto il possibile per aiutare il 19enne. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino