«L'ex cognato ha riciclato il tesoro di Maniero per favorire azioni criminali»

«L'ex cognato ha riciclato il tesoro di Maniero per favorire azioni criminali»
VENEZIA - Il denaro riciclato da Riccardo Di Cicco era provento delle attività criminali della mala del Brenta e Felice Maniero lo sapeva ne era perfettamente a conoscenza....

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VENEZIA - Il denaro riciclato da Riccardo Di Cicco era provento delle attività criminali della mala del Brenta e Felice Maniero lo sapeva ne era perfettamente a conoscenza. Di conseguenza non può essere considerato come un terzo di buona fede e anche a suo carico è stata disposta la confisca dei beni, fino all'ammontare di due milioni di euro, importo che il boss, pentito dal 1994, ha sicuramente ottenuto in restituzione dal cognato.

 
Lo scrive il giudice per l'udienza preliminare di Venezia, Massimo Vicinanza, nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso aprile, ha condannato il dentista toscano Di Cicco, 61 anni, alla pena di quattro anni e dieci mesi di reclusione per aver riciclato il tesoro di Maniero, riconoscendo le finalità mafiose del reato, in quanto commesso per favorire l'organizzazione criminale. La condanna si limita agli 11 miliardi di vecchie lire - pari a poco più di 5 milioni di euro - che l'ex boss ha raccontato di aver fatto pervenire al cognato all'interno di uno scatolone, all'inizio del 1996, tramite il fido Giuliano Matterazzo, al quale il denaro era stato affidato da sua madre, Lucia Carrain. Questo reato non è coperto da prescrizione (18 anni) in quanto le operazioni tese a far perdere tracce del denaro sono proseguite fino al 2009, quando Di Cicco chiuse il conto Monastero in Svizzera e le somme furono spostate ad una società di cui nulla ancora si sa, Silvoro Sa, e da questa ad altri soggetti non identificati.
Non altrettanto può dirsi per le altre operazioni di riciclaggio contestate a Di Cicco che, secondo il gup si sono concretizzate in tempi più remoti, e dunque non sono più giudicabili in quanto ormai prescritte.
INVESTIMENTI A MURANO
Al processo Di Cicco ha ammesso soltanto di essersi prestato a riciclare gli 11 miliardi di lire, per metterli al sicuro dopo il pentimento di Maniero, e di averglieli poi restituiti: a suo dire il boss avrebbe quindi sperperato il denaro in attività imprenditoriali fallimentari, prima nel settore del vetro di Murano, poi della depurazione delle acque. Maniero, che ha dato il via all'inchiesta nel 2016, denunciando il cognato, ha fornito una versione ben diversa: sostiene di avergli consegnato, a varie riprese, circa 30 miliardi di lire (15 milioni di euro), a partire dai primi anni Ottanta, quanto Di Cicco avviò la relazione con sua sorella Noretta. E il giudice è propenso a credere al boss, seppure la sua denuncia sia avvenuta per vendetta e l'inchiesta non sia riuscita a tracciare con esattezza tutti i flussi illeciti di denaro.
VITA DI LUSSO

Gli inquirenti hanno comunque accertato che Di Cicco manteneva un tenore di vita ben superiore rispetto al reddito dichiarato: per questo motivo la sentenza dispone a suo carico (nonché a carico della sua compagna, del figlio e di Noretta Maniero) la confisca di numerosi beni, tra cui le abitazioni di Fucecchio e Marina di Pietrasanta, conti correnti, polizze, denaro, gioielli, orologi preziosi, autovetture di lusso e perfino un cavallo, acquistati con denaro di cui il dentista non è stato in grado di provare la provenienza lecita. Noretta Maniero è stata assolta assieme a Di Cicco da alcune delle accuse, ritenute non provate, e ha usufruito della prescrizione per altre. La difesa proporrà sicuramente appello.
Gianluca Amadori Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino