VENEZIA È uscito dall'ospedale così com'era, in pigiama, ciabatte e con gli aghi ancora addosso. Ha preso il vaporetto, poi un autobus ed è tornato a...
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«Flavio, sto meglio a casa con la mamma che non in ospedale», ha raccontato teneramente l'uomo al figlio, spiegando il suo gesto. Un'azione fatta da chi, a causa della malattia, torna un po' bambino, rifiutando le sovrastrutture che si generano con la maturità per vivere semplicemente, anche senza capire i rischi a cui si vanno incontro. «Mio padre ha una memoria di dieci, quindici minuti, quando mi ha detto quelle parole mi è venuto da sorridere, cosa gli vuoi rispondere?», spiega Flavio. Il 22 giugno l'anziano era stato ricoverato in pronto soccorso: «La neurologa che conosce da quattro anni e che gli vuole davvero molto bene l'ha visitato, poi per scrupolo ha scelto di fargli fare alcuni approfondimenti, quindi è stato trasferito al reparto», ricostruisce il figlio.
AL PADIGLIONE JONA
Così Gino è arrivato al padiglione Jona, nella struttura diretta dal primario Andrea Bonanome: «Il paziente era giunto dal Pronto soccorso in reparto da pochissimo, ed era accompagnato da moglie e figlia, presenti in stanza al momento dell'accoglienza per il ricovero. Pur avendo una diagnosi di decadimento cognitivo, all'arrivo veniva descritto come tranquillo, autosufficiente e discretamente orientato». Finché non si è registrata la fuga: «Un'ora e mezza dopo l'accoglienza - continua il medico -, un'infermiera in turno ha notato che il paziente non era in stanza, non avendo ritrovato nemmeno i familiari, ha avviato le ricerche, ma nel frattempo era arrivata una telefonata che avvisava che era rientrato a casa. Vista la tempistica, il paziente ha evidentemente lasciato il reparto poco dopo che se ne erano andati i suoi congiunti, rifiutando l'idea di dover restare in ospedale e andandosene per l'uscita sulle Fondamente Nuove, dove l'ingresso è precluso, ma è consentita l'uscita e quindi transitano molte persone che lasciano l'ospedale».
L'ACCUSA
E proprio la facilità di uscita ha lasciato stupito il figlio: «Mi è stato detto che può capitare che ogni tanto qualcuno si allontani dall'ospedale, ma se mio padre avesse preso un vaporetto in direzione contraria, o se gli fosse accaduto qualcosa? E se avesse preso il covid? Noi eravamo sereni a casa». Oltre a questo, il familiare lamenta un altro fatto: «È stato dimesso sotto la propria volontà, ma come è possibile, un malato di Alzheimer? Inoltre, quando gli sono stati fatti gli esami non ci hanno nemmeno fatto entrare per le disposizioni da coronavirus. Ma come, noi non possiamo entrare e lui può uscire?».
LA REPLICA
A spiegare la situazione è il primario: «I degenti sono ovviamente periodicamente controllati dal personale del reparto. Tuttavia, un reparto ospedaliero non è una struttura chiusa ed è assolutamente impossibile per il personale sorvegliare costantemente la presenza di tutte le persone ricoverate. Tutte le attenzioni sono messe in atto, ma i degenti in regime normale si muovono, possono andare nel salottino o passeggiare in giardino, ovviamente avvisando il personale». Inoltre, Bonanome chiarisce che l'assistenza spetta alle famiglie: «La dinamica dei fatti è chiara per i familiari che, d'intesa con il reparto, il giorno successivo lo hanno riaccompagnato, facendosi carico delle sue necessità e completando gli accertamenti. Quanto al reparto, per primi ci siamo occupati e preoccupati per l'assenza del paziente, ma a partire dalla consapevolezza che il reparto medico non è una struttura chiusa». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino