OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
VENEZIA - Sognava in grande, sì. Ma sognava fuori tempo come se i suoi desideri e la realtà dei fatti fossero melodie discordanti. E il Gilberto Boatto che emerge dalle prime pagine dell'ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari di Venezia, Barbara Lancieri, lo accusa di essere il capo della rinascente Mala del Brenta, è un Gilberto Lolli Boato ancora pericoloso e capace ma che non «ha tutte le chiavi di decriptazione» di un «mondo nuovo» esterno al carcere a vita che sta scontando, seppur in semilibertà. Il suo nome, certo, ha ancora fascino: «Alcuni suoi sodali - scrive il gip Lancieri - lo rispettano al punto da essere pronti, almeno a parole, a sacrificare la vita» per il capo. «Un ruolo che però incontra un gravissimo limite»: Boatto «non è ancora riuscito a tornare un uomo libero, essendo sottoposto a un regime di semilibertà. Egli comunque detiene il know-how e il carisma criminale e avvalendosi di questi due poteri gestisce i suoi sottoposti», Loris Trabujo su tutti.
Il pizzo mensile al Tronchetto: «Dacci mille euro, lavorerai meglio»
QUALCOSA È CAMBIATO
Gli anni Venti del XXI secolo però non sono gli anni Novanta e quelli prima ancora. Lo dimostra una conversazione tra il boss e uno degli uomini disposto, a parole, a morire per lui: si parla di un telefono cellulare pulito che Boatto deve ricevere dal suo affiliato per contattare un boss siciliano che da lui si aspetta una pistola.
LE MENZOGNE
Le voci, e Gilberto Boatto lo sa bene, sono ciò che serve per intimidire. «Il nome, abbiamo il nome», inteso quello della Mala del Brenta da sventolare come bandiera. Altro non c'è e allora ecco che il nome e una sorta di post-verità sono le medaglie che l'antico luogotenente di Felice Maniero per ritagliare uno spazio alla sua nuova creatura. «Boatto - si legge a pagina 79 dell'ordinanza di custodia cautelare - è consapevole che l'organizzazione non ha più la stessa forza del passato e quando napoletani, siciliani, calabresi gli chiedono se abbia ancora il controllo del territorio, se gestisca ancora i casinò, egli non smentisce la circostanza, perché ha tutto l'interesse a mantenere viva la fama criminale, anche se sa che è il frutto di una notorietà guadagnata nel passato: ma quali casinò, però queste sono le voci che corrono avanti». Cosa significhi è ancora l'ordinanza a dirlo: «Risposta in piena sintonia con il progetto vagheggiato di ingenerare l'apparenza dell'esistenza di un'associazione ancora forte e capace di controllare il territorio» dalle sale da gioco al racket del traffico acqueo, vero pallino del boss. Che però, nonostante quanto detto, questi grandi rapporti con le cosche mafiosi non sembrava averne. «Sempre ammesso - è la stoccata del gip al boss - che napoletani, calabresi e siciliani si siano rivolti a lui con queste richieste e non sia una millanteria per accreditarsi con i sodali e consolidare il suo ruolo di capo nonostante l'età avanzata e la sua intrinseca debolezza». Contatti che, del resto, non sono mai emersi in quattro anni di indagini, a parte l'episodio della pistola da dare al capoclan siciliano.
Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino