Nozze d'oro al luna park per coppia di giostrai: i "regali" agli alluvionati

Adriano Rossi e la moglie Anna Zilli il giorno del matrimonio 50 anni fa nella basilica di Santa Maria delle Grazie a Rocca Pietore
Solidarietà grande come il cuore di un bambino che alla giostre si sente un re in paradiso. Giostrai da tutta la vita. Nato a Feltre lui nel 1947. A Mel lei, due anni dopo....

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Solidarietà grande come il cuore di un bambino che alla giostre si sente un re in paradiso. Giostrai da tutta la vita. Nato a Feltre lui nel 1947. A Mel lei, due anni dopo. Diventano marito e moglie, sposandosi nella chiesa di Santa Maria delle Grazie, a Rocca Pietore. I loro due figli sono nati ad Agordo e Pieve di Cadore. Adriano Rossi e Anna Zilli hanno fatto festa per i loro cinquant’anni di matrimonio. Torta in stile nuziale, come un tempo, e bomboniere portafortuna a forma di cornucopia o coccinella. Non hanno voluto regali «Alla nostra età non ci serve nulla in più di quel che già abbiamo». Ai convitati, però, una richiesta: qualche euro in una busta, per fare il mucchietto destinato alla gente del Bellunese colpita dall’urlo del vento di fine ottobre 2018. Ecco che 2050 euro sono stati versati dagli sposi sul conto corrente regionale dedicato al “Veneto in ginocchio”. Perchè quando Anna e Adriano, che girano il Veneto con il loro tagadà, hanno visto le immagini degli schianti, della gente senza acqua e senza luce per giorni non hanno avuto dubbi: «Ci è venuto un groppo alla gola e abbiamo pensato come poter fare qualcosa per la nostra terra.»  

UNA STORIA TRA LE GIOSTRE 
Ora i coniugi Rossi sono residenti a Nervesa della Battaglia. «Ma fino a 5 anni fa abitavamo a Cavarzano. Ci siamo trasferiti seguendo i figli che si sono spostati nel Trevigiano per comodità, per la vicinanza con la Bassa Veneta dove le sagre e le fiere sono più frequenti che nel Bellunese.» La tradizione, infatti non si tocca, prosegue: anche il figlio, Enrico Rossi, è giostraio. Così come il genero. Una vita da girovaghi, con le carovane che, come si dice in gergo, fanno il giro delle piazze. La famiglia di Adriano, nel secondo dopoguerra, aveva l’altalena a barchette. Quella di Anna la giostra a catene. È lei a raccontare: «Il 7 aprile 1944 la carovana era a Santa Bona, a Treviso. Mia mamma e mia zia si salvarono perchè erano andate in cerca di un meccanico che sistemasse un pezzo rotto della giostra. Tornate non c’era più nulla e più nessuno dei familiari.» Anche la storia della famiglia di Adriano è legata a doppio filo a due delle tragedie che hanno sconvolto il Bellunese. Il pomeriggio del 9 ottobre del 1963 siamo partiti con la carovana da Longarone evitando così di finire sotto la guria del Vajon e nel 1966 durante l’alluvione eravamo con la giostra a Santo Stefano di Cadore».
IL TAGADA’ 
Adriano ora possiede un tagadà, ma è passato per le gabbie volanti e le giostrine per bambini, quelle con cavallini e automobiline che girano. «Ma adesso si cerca il brivido già da piccoli. Hanno 5-6 anni e vorrebbero salire sugli aerei, cosa che non è possibile.» La clientela del tagadà va, in media, dai 10 ai 18 anni. Una età non facile: «Se dovessi dare un voto ai ragazzi di oggi direi 6. Dicono, ancora grazie, per fortuna. Anche se ogni paese ha la sua squadretta di birbantelli, che oramai, comunque, sappiamo individuare.» 
IL GRAZIE DI ZAIA 

Tra un luna park ed un altro Anna ed Adriano hanno girato l’intera provincia di Belluno. Lo fanno ancora («Perchè è un lavoro in cui ci si sente liberi») anche se d’inverno stanno fermi per qualche mese. («Abbiamo festeggiato ora, ma ci siamo sposati il 29 luglio 1968»). A congratularsi per il bel gesto è il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, che ha incontrato Adriano due giorni fa: «Tra le migliaia di persone che sto incontrando in questi mesi, dopo il maltempo di fine ottobre, ci sono quelle che mostrano straordinario impegno e generosità. Adriano e Anna hanno saputo fare di una celebrazione religiosa l’occasione per un grande gesto di sostegno. Questo è il dna dei veneti - sono parole del governatore che ricorda alcuni particolari della loro storia: scampati per un caso al disastro del Vajont come all’alluvione del 1966. «Sono persone legate a doppio filo con il Bellunese e con le nostre belle montagne che vogliono far tornare come prima. Meglio di prima. E questo è anche il nostro impegno.»  Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino