Racconta le Dolomiti e ha conquistato un’isola. Che poi, sotto sotto, così diverse non sono. Il docufilm “Movida” di Alessandro Padovani ha vinto il...
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È sull’adolescenza che bisogna puntare per poi non vedersi svuotare zone come il Bellunese?
«Non credo che si debba trattenere i ragazzi, bensì farli tornare. Tutti dovrebbero avere la possibilità di andare via, di vedere, scoprire, capire. Poi però bisognerebbe sapergli offrire stimoli e opportunità per ritornare. Abbiamo una ricchezza culturale che non è affatto inferiore a quella dei grandi centri, anzi. Salina, un’isoletta delle Eolie, ha saputo cogliere spunti, occasioni e energie per creare un Festival, rendendo quel posto un approdo felice, di scambio e di interesse. Anche le Dolomiti alla fin fine sono un’isola».
Perché “Movida”?
«Perché è quel che si cerca partendo, andandosene, quel qualcosa che qui non c’è ma “sicuramente da qualche parte c’è”. Lo spunto ce lo ha dato una giostra nel bel mezzo del nulla, nel cuore della notte, al buio pesto, a San Vittore. Si chiamava Movida. Ora mi piacerebbe che i giovani di altre province potessero vedere il film, e capire se si riconoscono. In quelle emozioni, in quella noia, nelle amicizie perse. In quella ricerca».
Alessandro sta ancora cercando? O ha trovato la sua strada?
«Se devo dirti cosa faccio ti dico “lo sceneggiatore”. Mi piace molto vedere come i registi fanno proprio un mio scritto, mentre non riuscirei a fare il contrario. Quando curo la regia è perché ho un’urgenza, qualcosa di intimamente mio da raccontare, condividere».
Il prossimo progetto?
«Ho scritto per la casa di produzione Evi una serie sul rapporto tra uomo e natura, uomo e animale, uomo e territorio. Si chiama Animalia ed è ambientata sulle Dolomiti. Il concept per la prima stagione è pronto, stiamo lavorando allo sviluppo e parallelamente cercando un broadcaster, per poi girare».
Insomma, tu sei tornato.
«Mi muovo tanto per lavoro, da Roma a Padova, dove si gira... Ma la mia base è qui, sì, in una provincia che è ricchezza creativa pura. E perché è qui che alla fine mi annuso e riconosco».
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Il Gazzettino