Roby Baggio un codino tutto d'oro: esce il libro sul campione vicentino

Roberto Baggio
VICENZA - Il 16 maggio saranno diciassette anni che non è più domenica. Ma da quando Roberto Baggio non gioca più, per la prima volta questo può essere...

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VICENZA - Il 16 maggio saranno diciassette anni che non è più domenica. Ma da quando Roberto Baggio non gioca più, per la prima volta questo può essere il mese giusto per provare a lenire la nostalgia: arriva oggi, martedì 4 maggio, in libreria Il Divin Codino, edizione ampliata del racconto firmato da Fabio Fagnani e pubblicato da Diarkos, in occasione dell'uscita dell'omonimo film-tributo diretto da Letizia Lamartire, prevista per il 26 su Netflix. Una cronistoria lunga 22 campionati, dall'esordio nel Caldogno alle emozioni nella Nazionale, passando per la militanza nel Vicenza, le stagioni tra Fiorentina, Juventus, Milan, Bologna, Inter e Brescia, il Pallone d'Oro, il rigore sopra la traversa e i 205 gol, ma anche l'amore per la famiglia, il conforto della religione, la scelta del silenzio.


LA RISERVATEZZA
La difficoltà nel narrare una vicenda umana e sportiva tanto densa è stata proprio la riservatezza che notoriamente contraddistingue un uomo, ancorché «il campione di tutti» come recita il sottotitolo, in eterna fuga dall'obbligo di apparire ad ogni costo. «Mi sono dovuto prendere il mio tempo confida Fagnani per riuscire a ritrarre un personaggio che non vuole stare sotto i riflettori, rilascia poche dichiarazioni, preferisce fare il marito e il papà piuttosto che autocelebrarsi. L'unica volta che l'ho incontrato, abbiamo parlato di buddhismo...». Che fosse un ragazzo di poche ma essenziali parole, l'aveva capito anche mamma Matilde, quella volta in cui gli chiese come fosse andato il provino con il Lanerossi, un'autentica sorpresa anche per papà Florindo, appassionato semmai di ciclismo: «Abbastanza bene». Del resto non servirono grandi discorsi nemmeno ai tifosi che, in quell'ultima partita a San Siro, srotolarono uno striscione entrato nella storia: Dio esiste... e ha il codino.


L'UMANITÀ
Adorato come una divinità («Credo sia stato il più grande giocatore italiano di tutti i tempi», afferma il suo ex capitano Beppe Bergomi), Baggio ha però sempre rivendicato il diritto di essere un uomo. Incompreso da tanti allenatori e bersagliato da troppi infortuni, autore di giocate magiche ma anche protagonista di reti mancate, costretto a convivere con il ricordo di quel tiro dagli undici metri che vola nel cielo di Pasadena e che lo storico telecronista friulano Bruno Pizzul dopo tanto tempo rievoca così: «Ho aspettato che tirasse e poi ho detto semplicemente quello che era successo: Alto. Il Mondiale è finito e lo ha vinto il Brasile. Non c'era altro da dire in quei momenti lì». Ora che la voce del calcio on demand è quella di Stefano Borghi, la riflessione va oltre: «Ho cercato di capire se Baggio fosse stato un eroe magico o un eroe tragico. Sono convinto che sia magico, ma queste sfumature, quasi da Ettore di Troia dell'Iliade nella sua figura così bella divina, ma così votata a un'inevitabile sconfitta, per certi versi è una cosa che me lo fa amare ancora di più». Fagnani concorda: «A livello tecnico, Roby è stato un extraterrestre per classe, eleganza, visione di gioco. Ma quel ginocchio, che l'ha fatto patire tantissimo, l'ha reso a nostra immagine e somiglianza. Per questo non è vero che ha vinto troppo poco: ha vinto più di quello che il suo fisico poteva permettergli». Come sottolinea Antonio Pagni, il suo inseparabile fisioterapista: «Poteva smettere di giocare a calcio, anzi probabilmente era il suo destino ma lui è stato più forte, più caparbio, più determinato, è un po' come se avesse sconfitto la sua morte sportiva».


IL VENETO
Nelle 352 pagine della biografia, c'è tanto Veneto. Il dialetto con cui Giulio Savoini, suo primo scopritore, lo vede giocare per la prima volta: «Stò tostatèlo xe un fenomeno! Xe'l nuovo Zico». La casa di Altavilla Vicentina, perno attorno a cui ruota la sua vita insieme alla moglie Andreina e ai figli Valentina, Mattia e Leonardo. Il trevigiano Gianni De Biasi, che sostituisce Carletto Mazzone sulla panchina del Brescia e lo fa giocare finché entra nella cerchia dei duecento e passa gol («Il mister ha le idee chiarissime. Si soffre, si serve la palla a Baggio che inventa o segna. Punto»). E, soprattutto, Alessandro Del Piero, l'allievo che tuttora marca ogni 18 febbraio con gli auguri social nella lingua comune al suo maestro di punizioni: «Bon compleano Vecio, guri!». Osserva l'autore: «In modo diverso, Del Piero e Totti sono i figli putativi di Baggio. Alex che accetta di andare in serie B quando la Juventus è travolta dallo scandalo, Francesco che rifiuta l'offerta del Real Madrid per restare alla Roma: sono scelte che hanno consentito loro di diventare le bandiere delle rispettive squadre. Baggio non può essere identificato con un solo club, in quanto è stato la rappresentazione del calcio che travalica i confini di una città o di una tifoseria. Ma la sua trasparenza, la sua nobiltà d'animo, la sua correttezza sono le stesse dei suoi eredi».


IL FUTURO


Quanto manca Baggio al pallone di oggi? Il suo procuratore Vittorio Petrone rimarca l'accademia fondata in Ungheria: «In sostanza, la Roby Baggio Football Heroes School è proprio una facoltà per la formazione dei coach come allenatori di calcio e soprattutto come educatori per i bambini». L'esperienza da direttore dell'area tecnica in Figc, invece, si è chiusa con una certa delusione. Conclude Fagnani: «Roberto avrebbe il carisma e l'intelligenza per fare un ottimo lavoro. Ma non credo che questo calcio si meriti un uomo così puro». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino