Rita Dalla Chiesa: «Il mio libro su papà, per la prima volta ho pianto dopo 38 anni»

Rita Dalla Chiesa
VENEZIA - Il generale dalla Chiesa, uomo delle istituzioni, ufficiale dell'Arma a servizio dello Stato «per me era il padre che all'onomastico mi regalava un mazzo...

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VENEZIA - Il generale dalla Chiesa, uomo delle istituzioni, ufficiale dell'Arma a servizio dello Stato «per me era il padre che all'onomastico mi regalava un mazzo di roselline, che mi rompeva per i compiti o che spegneva la televisione quando cantava Bruno Lauzi ». Rita dalla Chiesa, giornalista e conduttrice tv, così racconta il padre di cui scrive nel libro Il mio valzer con papà, volume fresco di stampa edito da RaiLibri che sarà presentato a Pordenonelegge sabato 19 settembre alle 21.

Dalla Chiesa sarà intervistata da Valentina Gasparet a distanza (effetto delle misure di sicurezza anticovid) ma la presentazione sarà accessibile al pubblico al Teatro Verdi e trasmessa anche in differita alle 17 di domenica su Pnlegge Tv. Al telefono da Roma, la giornalista anticipa alcuni ricordi, pur dispiaciuta per non poter partecipare fisicamente al «festival bellissimo specie per l'entusiasmo del pubblico». Perché questo libro? «Nasce su richiesta dell'editore per celebrare il centenario dalla nascita di mio padre, il 27 settembre. Sono molto grata a Paolo Valentino, editor che mi ha dato un aiuto fondamentale nella ricostruzione storica».
Cosa l'ha spinta a farlo?
«Ho pensato che se dovevo parlare di papà, di nonno Romano, della mia vita in caserma, sarebbe stato giusto che i proventi del libro andassero tutti all'Onaomac, l'ente che si occupa degli orfani di carabinieri, ente che tra l'altro fu fondato da nonno Romano».
Generale dei Carabinieri e prefetto di Palermo, assassinato nel 1982, il Carlo Alberto dalla Chiesa che emerge dalle pagine del libro è un padre tenero, perfino geloso. Come lo ricorda?
«Con tutta l'allegria che lui vorrebbe. Tutti lo immaginano uomo tutto d'un pezzo, il Generale, l'uomo delle regole e delle Istituzioni. A casa era solo un papà con le sue fragilità, le gelosie, le tenerezze, l'amore per mamma. Eravamo una famiglia normale, che mangiava nel tinello, per lo meno fino a quando le cose furono serene, poi semplicemente diventammo una famiglia molto provata».
A casa parlava mai della lotta al terrorismo brigatista e a Cosa Nostra?
«Mai con noi, solo con mia mamma, il suo grande amore e la sua confidente. Da piccoli non avvertivamo il senso del pericolo che arrivò poi, da adulti, nel periodo terribile degli anni di piombo. Allora le cose diventarono pesanti, sapevamo che anche noi tre figli eravamo presi di mira, ciascuno ne aveva avuto avvisaglie. Stavamo a Roma, ogni giorno aspettavamo la sua telefonata delle 23. C'erano poi alcune parole chiave, se telefonava chiedendo se quella sera avrei fatto patatine fritte a mia figlia Giulia (all'epoca ero già separata) significava che sarebbe passato a salutarci. Furono anni di grande preoccupazione, non è stato un caso se mia madre è morta a 52 anni di infarto. Erano finiti gli anni gioiosi di Palermo, dal '66 al '68, gli anni in cui è stata scattata la foto di copertina del libro, in cui io e mio padre balliamo il valzer».
Il libro si chiude con la telefonata che suo padre le fece il mattino del 3 settembre dell'82, giorno in cui fu ucciso. Cosa ricorda di quella chiamata?
«La sua raccomandazione di non fargli fare brutta figura. Si riferiva agli orali per l'esame di stato per diventare giornalista professionista che avrei dovuto sostenere di lì a qualche giorno. Per me è diventato un monito di vita».
Uomo dell'arma, dell'antiterrorismo e dell'antimafia, lei lo ricorda profondamente contrario alla violenza
«In anni di servizio, non ha mai portato in casa la pistola di servizio. Era radicalmente contrario alla violenza sosteneva invece l'importanza della parola. Perciò non sopporto i social del nostro tempo, pieni di odio, di offese, di aggressioni verbali, di chi non sa nulla di cosa si celi dietro l'altro. L'altra cosa che mio padre sosteneva è che non esiste il potere, bensì il dovere. Un principio a cui mi sono attenuta le tre volte in cui ho rifiutato l'invito a scendere in politica, perché ero consapevole di quali fossero i limiti per me. La prima volta arrivò dal Partito Socialista di Craxi. Ho voluto molto bene a Bettino, perché si è sempre schierato dalla parte della mia famiglia. Era l'unico che veniva a salutare mio padre sulla tomba a Parma, senza dirlo a nessuno senza fotografi».
Rispetto alla morte di suo padre, c'è qualcosa che ancora la fa arrabbiare?
«Il fatto che tutti sanno benissimo come siano andate ma nessuno lo dica. Fu una vigliaccata, un assassinio da parte di chi doveva difenderlo. Il vuoto informativo lo abbiamo riempito noi figli, parlandone di continuo, affinché rimanesse il ricordo, andando nelle scuole, in televisione. Non voglio che nessuno mai dimentichi mio padre, un uomo del Nord morto per difendere gli altri, unico non siciliano morto in Sicilia in questa battaglia. Era un carabiniere di strada, fedele allo Stato e soprattutto ai cittadini. Lo era in maniera reale, non per frasi fatte della politica. Sa che gli ho rotto per tutta la vita chiedendogli chi votasse nelle urne. Non me l'ha mai detto. È stato partigiano, uomo d'arma, ha servito tanti e diversi presidenti della Repubblica, eppure non ho mai saputo chi votasse».
Come è stato immergersi nei ricordi per scrivere il libro?
«L'ho scritto a luglio, per lo più di notte, nel silenzio e senza interruzioni. Ci sono cose su cui ancora oggi rido, ad esempio la mia avversione per la matematica di cui discutevo con papà. Altre molto dolorose. Mi è capitato di chiudere il computer e di piangere. Pianti che non feci allora, ero bloccata. A 38 anni di distanza credo ancora di non aver fatto il pianto liberatorio per mio padre».
La foto di copertina la ritrae mentre danza un valzer con suo padre, Sul bel Danubio blu. Perché ha scelto il valzer?

«È il valzer della vita, ovvero quel tenersi per mano che ti porta a condividere paura, emozioni, sensazioni, il tenersi abbracciati anche quando accadono cose brutte».
Valentina Silvestrini
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Il Gazzettino