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JESOLO - Non è certo da ieri che Jesolo deve fare i conti con degrado e criminalità. E con una espropriazione violenta del diritto delle persone, delle famiglie e dei giovani, di riposarsi e divertirsi al mare. Tuttavia, sapere che uno spacciatore gira armato (magari non è l’unico) e venirlo a sapere perché quel tizio ha sparato in un locale tra la gente, è un “salto” preoccupante nella scala delle emergenze. Una parola, “emergenza”, di cui spesso si accusano i mezzi di comunicazione per un uso facile. Mettiamola come vogliamo, ma Jesolo è un caso nazionale. Parliamo di una località turistica diventata in 10-15 anni la Miami dell’Adriatico grazie al boom edilizio e dell’industria del divertimento.
Solo che all’immagine suggestiva si è via via accompagnata la crescita di una retroguardia sociale di confine dove malaffare, criminalità e degrado hanno via via fatto emergere l’altro lato della “Miami” del Veneto. Soldi, divertimento e business immobiliare hanno attirato affaristi, mercanti dell’industria dello sballo, gente violenta. Chiariamo: Jesolo è tutt’altro, ma questa deriva ne sta macchiando l’immagine costruita dagli anni del boom economico in poi. Tocca a chi ne sa capire il perché di questa deriva. Certo, c’è l’aspetto sociale legato alla “movida” in cerca di uno sballo sempre più “oltre”. L’alcol non basta più, le compagnie di ragazzi sono state rimpiazzate sempre di più dal branco, la condivisione del divertimento è diventata cultura del possesso. Basta un’occhiata sbagliata in un locale o per strada per rischiare di finire male. A Jesolo come a Milano. Colpa dell’isolamento dei ragazzi, del lockdown e anche di ciò che c’era prima. Colpa del sentirsi singoli in un gruppo e non parte di una comunità. Le notti in spiaggia, quando sono l’occasione per sballare uscendo dal controllo e non momento per condividere emozioni, diventano un problema di ordine pubblico. Loro, i ragazzi, sono l’anello fragile di una catena in mano a chi sa cosa offrire per uno sballo. Ma a sballare non sono solo loro, c’è anche chi ragazzo non è più da un po’. Ed è forse la parte più florida del mercato. È una industria parallela che si alimenta di una violenza non solo fisica, ma di atteggiamento, di metodo. Una cultura “suburbana” che Jesolo non conosceva e con cui fa i conti d’estate, quando vive i problemi di una metropoli. Anche i bravi ragazzi faticano a starne fuori, a esserne immuni, ma chi lo fa comunque dimostra di essere più forte di chi cede. In questo contesto si è innestata la criminalità straniera. Lo spaccio è in mano a “galoppini” nordafricani che vengono “a fare la stagione” al mare spostandosi dalle città e seguendo il popolo delle vacanze, la “movida”. Ma in generale non è un problema di immigrazione, è più un problema di ghettizzazione.
Il commerciante bengalese pestato in piazza Brescia è un immigrato che ha la sua attività da anni: è stato picchiato da una gang di ragazzini. I tre fermati sono del Miranese, due anche minorenni.
Il problema riguarda tutti, famiglie comprese. Anche chi vende alcol ai minori o agli appena maggiorenni. Basta andare in un qualsiasi supermercato al mare di sabato o di domenica per vedere quanti ragazzi escono con bottiglie di alcolici. Lo sballo, il degrado si alimentano anche così. Jesolo ha adottato rigide ordinanze e divieto di vendita di alcol nei fine settimana. E’ una soluzione, ma è a valle. Va capito se si può fare qualcosa “a monte”. E cosa.
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