«In quell'aeroporto mi hanno fatto sentire un trafficante di bambini». Mirko Coccato pronuncia questa frase, poi si ferma e scoppia a ridere. Ma la sua è...
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Italiano arrestato in Colombia: partiva con una neonata non sua
Mirko, la sua storia è rimbalzata dalla Colombia all'Italia suscitando grande clamore. Ripercorriamo ciò che è successo? «Io sono sposato da dieci anni con una donna colombiana. Viviamo a Brugine, lavoriamo, siamo brave persone. La bambina che abbiamo deciso di adottare è la figlia della cugina di mia moglie: lei era in difficoltà e noi volevamo aiutarla. Era rimasta incinta, ma sarebbe stata una ragazza-madre. Diceva che non poteva permettersi di tenere la figlia e voleva abortire. Io e mia moglie ci siamo proposti di aiutarla economicamente, purché la facesse nascere. Ma lei non voleva far crescere la piccola nel suo Paese, allora noi ci siamo detti pronti a portarla in Italia».
Tra il dire e il fare, però, ci sono di mezzo le leggi.
«Esatto, leggi che io non conoscevo bene. Mi sono fidato della persona sbagliata. Sono stato male indirizzato e mi sono cacciato in questa brutta storia. La mia colpa è stata quella di agire in modo sbrigativo».
Cosa significa?
«Ci siamo affidati ad un avvocato colombiano che mi ha spiegato che mi sarebbe bastato firmare un atto in cui riconoscevo la figlia e mi dichiaravo padre. Invece non era affatto così. Sarei dovuto passare per un giudice e fare un'adozione in regola».
Quando era partito per la Colombia?
«Il 28 novembre, quando la bimba era nata da pochi giorni. Abbiamo aspettato alcune settimane per permettere alla piccola di fare un volo così lungo senza traumi e avevamo programmato un percorso con due scali, a Panama e Amsterdam, proprio per rendere il viaggio meno pesante».
E invece cos'è successo?
All'aeroporto sono stato controllato e fermato. Mi hanno trattenuto per due notti nel posto di polizia dicendomi che c'erano delle irregolarità sui documenti e che dovevano controllare tutto. I documenti erano veri, ma la procedura che abbiamo scelto era sbagliata. Giovedì sono stato rilasciato senza imputazioni e ora sono pronto a tornare a casa perché le mie ferie sono finite e devo tornare a lavorare. Aspetto solo di trovare il biglietto, conto di essere a Brugine tra domenica e lunedì».
I suoi colleghi del Mercato agroalimentare di Padova raccontano che lei parlasse già da tempo di questa bimba.
«Sì, da molto prima che nascesse. Credevo fosse tutto in regola e appena l'ho vista mi ci sono affezionato subito. La considero mia figlia, in questi giorni pensandola ho pianto tanto e non vedo l'ora di riabbracciarla».
Cosa accadrà, ora?
«Questo dipende dalle autorità colombiane. La piccola è stata affidata ad una casa-famiglia mentre mia moglie è rimasta lì, con i suoi parenti, a provare a mettere in regola tutto quello che c'è da mettere in regola. Se servirà firmare altri documenti, io sarò pronto a tornare di nuovo in Colombia».
Vivete assieme in Veneto da dieci anni. Non avete mai pensato di adottare una bimba in Italia?
«No, in Italia è tutto molto più difficile e più costoso. In Colombia avevo pagato solo le spese mediche per il parto della madre naturale. Credevo fosse tutto sistemato».
Gabriele Pipia Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino