Impiegata dell'Inpdap maltrattata ma il giudice assolve il capo ufficio

Impiegata dell'Inpdap maltrattata ma il giudice assolve il capo ufficio
UDINE - Il fatto non sussiste. Il caso di mobbing all'Inpdap di Udine si è chiuso ieri con la sentenza di assoluzione pronunciata dal giudice Andrea Fraioli nei confronti...

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UDINE - Il fatto non sussiste. Il caso di mobbing all'Inpdap di Udine si è chiuso ieri con la sentenza di assoluzione pronunciata dal giudice Andrea Fraioli nei confronti dell'allora dirigente dell'ufficio, Fabrizio Gregoris, 55 anni, di Spilmbergo, finito a processo con l'accusa di maltrattamenti commessi da persona dotata d'autorità per l'esercizio di una professione sanzionato dall'articolo 572 del codice penale.


Era finito sul banco degli imputati dopo la denuncia di una dipendente dell'ufficio, una 48enne di origini pugliesi, residente a Udine, che aveva raccontato di aver subito comportamenti vessatori dal gennaio 2007 al dicembre 2009. A seguito della vicenda, la dipendente aveva lamentato un disturbo ansioso depressivo, con somatizzazioni, capogiri, dimagrimento, tremori e vertigini.


La donna si era costituita parte civile con l'avvocato Rosi Toffano che si è associata alla richiesta di condanna avanzata dall'accusa, chiedendo in subordine anche la riqualificazione del fatto in atti persecutori. «Mancando un riferimento normativo per il reato di mobbing, il fatto può essere sussunto in quello di maltrattamenti, che la giurisprudenza applica in organizzazioni para-familiari, o negli atti persecutori che a nostro giudizio erano stati provati nel dibattimento». L'assoluzione era stata invocata invece dai difensori di Gregoris, Piero Cucchisi e Francesco Maiorana che hanno sottolineato come i testimoni sfilati in aula abbiano narrato una situazione di conflittualità nell'ambiente di lavoro, mai però sfociata nella fattispecie di reato contestata all'imputato. «Nessuna testimonianza ha lasciato evincere la sussistenza di elementi oggettivi o soggettivi idonei a configurare il reato di maltrattamenti non sussistendo tra i protagonisti della vicenda relazioni intense ed abituali, situazioni di soggezione e gli altri elementi idonei a caratterizzare quel rapporto di natura para-familiare necessario per la rilevanza penale del fatto - spiegano -. La sentenza ha messo la parola fine a una vicenda giudiziaria che ha visto ingiustamente accusato il nostro cliente. Dopo tanti anni di sofferenza psicofisica, riacquista serenità». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino