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Decimo posto nella classifica generale, ma sapere che in altre regioni gli aumenti siano ancora maggiori in questo caso consola ben poco: il “botto” che l’inflazione dà alle famiglie del Friuli Venezia Giulia, infatti, è notevole, e si trasforma in un aumento della spesa annua di 2.579 euro. Che poi è la media regionale. Messa la lente di ingrandimento, infatti, si scopre che va ancora peggio a Pordenone – un aumento di 2.715 euro – ed è sopra la media anche a Udine, con un + 2.622 euro. Il che equivale ad un’inflazione dell’11,7% a Pordenone, dell’11,3% a Udine. Leggermente più bassa a Trieste, 10.9%, e a Gorizia, dove l’aumento dei costi annui per la famiglia è, rispettivamente di 2.530 e 2.422 euro. Sono i numeri impietosi resi noti ieri dall’Istat, che ha rilevato l’inflazione di ottobre delle regioni e dei capoluoghi di regione e Comuni con più di 150mila abitanti, in base ai quali l’Unione nazionale consumatori ha stilato la classifica delle città e delle regioni più care d’Italia riguardo all’aumento del costo della vita. A guardare ancora più nello specifico, a ottobre i prezzi a Udine sono rincarati del 3,1% sul mese precedente e a Trieste del 2,7 per cento. La prima città regionale che si incontra nell’elenco dei centri più costosi è Trieste, che si colloca al ventiduesimo posto. Precedono il Friuli Venezia Giulia e sono in vetta alla classifica, la Provincia di Trento, dove la famiglia media deve sobbarcarsi un innalzamento del costo della vita annua di 3.092 euro e l’Emilia-Romagna che resta sotto i tremila euro, ma li sfiora. Riguardo alle città, invece, primato a Ravenna, seguita da Bolzano – che così perde il primato di città più cara d’Italia -, da Bologna e da Milano, dove in media quest’anno si spenderà 3.176 euro in più per vivere.
MISURE DI CONTENIMENTO
Quasi scontate le voci che trainano la corsa anche in Friuli Venezia Giulia: elettricità, acqua, abitazione e prodotti per la casa. «Al di là dei bonus erogati e delle misure tampone che sono state introdotte per contenere i costi dell’energia e dei carburanti, siamo di fronte a una situazione di impoverimento generale delle famiglie, perché anche i contratti di lavoro rinnovati sono stati firmati sulla base di valori inflattivi molto più bassi rispetto a quelli attuali – considera il segretario regionale della Cgil, William Pezzetta -.
I TIMORI
«Questo apre lo scenario ad un default economico sociale catastrofico: solo pochi mesi potranno reggere i consumatori più vulnerabili che, a differenza di altri, non hanno risparmi a sufficienza per far fronte ai rincari. Rateizzazioni e bonus - secondo Puschiasis - non avranno alcun effetto, l’unica misura attuabile è uno shock controllato della domanda soprattutto dei beni energetici e una verifica puntuale sui prezzi, revisionando con immediatezza il ruolo di Mister prezzi e della polizia Annonaria». Attivando uno sguardo prospettico, si deve tornare al 1983 per trovare un’inflazione tendenziale a due cifre, cioè 13%, così incalzante come quella che ha fatto salire i prezzi in questi ultimi mesi e settimane. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino