La mamma del piccolo Anas: «Il mio bimbo a terra immobile, ho capito subito»

Il piccolo Anas Zidane morto nell'incidente
PADOVA - «Lo avevamo tanto aspettato. Dopo aver lasciato il Marocco per venire a Padova abbiamo desiderato moltissimo questo bambino. Quando finalmente è arrivato...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

PADOVA - «Lo avevamo tanto aspettato. Dopo aver lasciato il Marocco per venire a Padova abbiamo desiderato moltissimo questo bambino. Quando finalmente è arrivato eravamo felicissimi. Adesso niente sarà più lo stesso, per noi e per i suoi fratelli».


Zohra Iraoui, 34 anni da compiere, da tutti conosciuta come Fatima, è la mamma del piccolo Anas Zidane, il neonato di 3 mesi morto lunedì dopo essere stato investito da un’auto in via del Plebiscito. Per tutta la giornata ieri è stata circondata dalle amiche e dalle poche parenti che ha in città. Un nugolo di donne e ragazze che fin dal mattino presto hanno riempito il piccolo salotto dell’appartamento al 26 di via Mortise: «Non vogliamo lasciarla sola, così non può concentrarsi solo su questo dolore che le ha rotto il cuore» spiegano. Gli uomini sono invece rimasti nel cortile, a sostenere papà Driss, che in casa non riesce nemmeno a stare. L’uomo, operaio in un’azienda di Camin, salendo le scale barcolla, si appoggia al corrimano: ha appena visto nell’androne le biciclettine che tutti i bambini del condominio parcheggiano lì. Scoppia a piangere.


IL RACCONTO
In casa Zohra è costretta sul divano, perché nell’incidente anche lei è finita a terra: ha una contusione alla schiena e una, più seria, alla gamba sinistra. «Di quei momenti mi ricordo poco, tutto è successo in un attimo» racconta. Per lei lo sforzo è doppio: quello della lingua, che sta ancora cercando di imparare e per la quale si fa aiutare dalle amiche, e quello del cuore. Non può indossare le scarpe, dovrà tornare a farsi visitare, ma questo significa tornare nell’ospedale in cui il suo Anas, ultimo di tre figli, in tre mesi esatti è venuto alla luce ed è morto. «Sono rientrata a casa ieri sera tardi (lunedì, ndr) ma sapere che tornavo senza il mio bambino non mi faceva neanche capire cosa stessi facendo. Era un bel bambino, bravo, io e mio marito lo avevamo voluto moltissimo dopo essere riusciti a venire a Padova due anni fa».
Un percorso non senza insidie: nonni, zii, tutti i parenti stretti sono rimasti a Casablanca, il Covid ha impedito di allacciare i rapporti sociali, inserire a scuola la figlia 13enne e l’altro figlio di 9 anni è stato tutt’altro che semplice. «La grande è stata iscritta alla media Cellini un anno indietro – spiega Zohra – mentre il bambino, pur avendo finito la seconda in Marocco ed essendoci due scuole qui a Mortise, ha trovato posto solo all’Arcella, ripartendo dalla prima. Ha imparato presto l’italiano ma anche tanto sofferto perché si vede più grande dei compagni, qualche presa in giro è inevitabile. Per questo ogni giorno vado io a prenderlo. Da quando era nato Anas (il 27 dicembre), ho sempre portato anche lui, perché non avevo nessuno a cui lasciarlo. Sono 20 minuti di distanza ma pioggia, vento o sole era sempre con me. Col freddo lo tenevo dentro il giaccone, stretto al petto per scaldarlo. Fino a quel giorno maledetto. Non ho fatto neanche in tempo a capire, mi sono trovata per terra. Lui era fuori dal passeggino, immobile, non respirava. Già sapevo».


LA VICINANZA


Solo dopo lo sfogo, mostrando le foto del suo bimbo, Zohra si lascia andare a un lungo lamento. «È una donna forte, più forte di me – si commuove Driss – È difficile, tutti i parenti sono in Marocco. Non so se potremo tornare, se verranno loro. Non sappiamo nulla ora». Accanto a lui ci sono i membri dell’Associazione marocchina di Padova. «Non avevamo fatto in tempo a conoscerci – spiegano Abdeslam Afritas e gli altri membri – ma è in questi momenti che fare comunità è importante. Non per la nazionalità, la provenienza, le tradizioni ma come esseri umani. Non amiamo mostrarci, fare gesti eclatanti, ma non possiamo che essere vicini a questi genitori e questi due bambini. L’investitore è anche lui marocchino, ma nessuno di noi lo conosce. Per fortuna si è fermato, ma non potrà mai togliersi questo peso».
 

 

Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino