Trevigiani vendono le carte d'identità per darle a clandestini: 19 indagati

Trevigiani vendono le carte d'identità per darle a clandestini: 19 indagati
TREVISO Diciannove trevigiani, tutti di età compresa tra i 18 e i 26 anni, sono stati indagati a vario titolo dalla Procura di Treviso per il reato di favoreggiamento...

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TREVISO Diciannove trevigiani, tutti di età compresa tra i 18 e i 26 anni, sono stati indagati a vario titolo dalla Procura di Treviso per il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e concorso in contraffazione di documenti di identità validi per l'espatrio. Sono accusati di aver venduto o "affittato" le loro carte d'identità originali a un'organizzazione malavitosa di albanesi, che utilizzava i documenti per consentire a clandestini di muoversi in Europa. Se finiranno a processo rischiano pene che possono arrivare ai 15 anni di reclusione. L'attività investigativa, ancora in corso, fa riferimento ad una precedente indagine della Procura di Venezia che ha scoperchiato la cupola di una organizzazione criminale composta da nove albanesi residenti in provincia di Treviso, già condannati per gli stessi reati in primo e secondo grado, che gestiva il traffico degli illegali. A inchiodare i 19 giovani trevigiani ci sarebbero alcune intercettazioni telefoniche.

 


LE INDAGINI
A quanto si è appreso il lavoro coordinato dal sostituto procuratore Giulio Caprarola avrebbe tra l'altro contribuito a finalizzare una più ampia attività investigativa della Polizia di Stato in collaborazione con la Metropolitan Police di Londra grazie a cui, nel settembre scorso, è stata decapitata l'organizzazione madre che gestiva e organizzava l'ingresso nel Regno Unito dei cittadini albanesi e che aveva al vertice una donna slovacca di 37 anni e il marito albanese di 42, che sono stati individuati e arrestati nella contea del Kent. I giovani trevigiani avrebbero affittato o venduto le carte di identità per un prezzo oscillante dai 50 ai 200 euro. Poi il documento veniva contraffatto sostituendo la foto originale con quella dell'albanese che aveva acquistato il viaggio verso la Gran Bretagna, dove ad attenderlo ci sarebbero già stati un posto di lavoro e una abitazione. Completata l'operazione di trasferimento il documento sarebbe stato in alcuni casi riconsegnato al legittimo proprietario. A curare i dettagli del viaggio c'erano due albanesi, un uomo e una donna, che stavano al vertice della frangia veneta dell'organizzazione.
I TRASFERIMENTI
Alcuni dei clandestini si sarebbero imbarcati verso il Regno Unito all'aeroporto Canova di Treviso, da quello di Verona e al Marco Polo di Venezia, dove arrivavano accompagnati sempre da una persona di sesso opposto con cui mettevano in scena la finzione di una coppia che si salutava e questo, nelle intenzioni, avrebbe dovuto ridurre i sospetti. Altri invece sarebbero stati portati al porto francese di Calais dove venivano poi fatti salire sui traghetti oppure messi sul treno che raggiunge le sponde inglesi attraverso il Tunnel della Manica. I fatti di cui si occupa il pubblico ministero Caprarola sono relativi al periodo compreso fra il 2014 e il 2015. A far scattare le indagini alcuni controlli, operati dalla polizia negli scali di Treviso, in quello veneziano e al Catullo di Verona, durante i quali sono stati scoperti e arrestati almeno una decina di illegali che tentavano di imbarcarsi con le carte di identità contraffatte. A quel punto sono partite verifiche più approfondite da cui è emersa una curiosa coincidenza: tutti quelli a cui erano intestate la carte di identità intercettate alla frontiera italiana non avevano denunciato lo smarrimento del documento.
INCONTRI AL BAR

L'inchiesta ha permesso di appurare che le carte d'identità in possesso dell'organizzazione in attesa di essere utilizzate erano almeno un centinaio. I contatti, stando a quanto emerso, avvenivano anche in un noto locale del centro di Conegliano. Tutte con le generalità di giovani residenti nei comuni di Conegliano, Altivole, Treviso, Carbonera, Maserada, Onè di Fonte, Oderzo e altri centri minori della Marca, disposti a rischiare per 50 o 200 euro e con l'accordo che il documento sarebbe stato restituito o che la denuncia di smarrimento avrebbe dovuto essere fatta solo a viaggio completato. Agli albanesi che volevano approdare dall'altra parte della Manica, dove ad attenderli ci sarebbe stata l'organizzazione con a capo il connazionale 42enne e la moglie slovacca arrestati a settembre nel Kent, venivano invece chieste fino a 9 mila sterline per il viaggio e il kit di documenti.
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Il Gazzettino