Un secolo di amicizia e impresa: parlano Roberto e Alvise, i titolari della Idea Group

Un secolo di amicizia e impresa: parlano Roberto e Alvise, i titolari della Idea Group
Parlano Roberto Lucchese e Alvise Colledan, titolari della Idea Group, azienda di Gorgo al Monticano dell'arredo bagno. Intrecci familiari, andata e ritorno dall'Argentina...

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Parlano Roberto Lucchese e Alvise Colledan, titolari della Idea Group, azienda di Gorgo al Monticano dell'arredo bagno. Intrecci familiari, andata e ritorno dall'Argentina tra Grande Guerra e secondo 900, l'avventura con una nuova azienda.

Questa è una storia di amicizia e di emigrazione che viaggia tra quel Friuli che prima della Grande Guerra faceva parte di un'unica regione, il Veneto, e l'Argentina. Andata e ritorno su vecchi piroscafi che pomposamente chiamavano transatlantici. Storia che abbraccia due secoli, quattro generazioni di contadini, poi emigrati, poi mobilieri e oggi arredatori di bagni esportati in mezzo mondo. Tutto parte da Maron di Brugnera, dove passa il Livenza che divide una pianura nella quale Veneto e Friuli si confondono e si parla ancora la stessa lingua. Qui vivevano i nonni di Alvise Colledan e di Roberto Lucchese. Erano amici, i loro campi confinavano; le cose, però, non andavano bene e il reduce Antonio Colledan appena rientrato dal fronte nel 1919 era emigrato in Argentina dove aveva aperto una fabbrica di mattoni. Dieci anni dopo la Grande Crisi lo avrebbe riportato a casa, pronto per altre due guerre. Il papà di Roberto l'Argentina l'ha raggiunta nel 1949, era il tempo del dittatore Peron e della moglie Evita: a Buenos Aires ha aperto un mobilificio, poi ha mollato tutto nel 1965 dopo un ennesimo colpo di stato militare. Roberto aveva 14 anni e sapeva parlare soltanto lo spagnolo. Come lo erano stati i nonni, anche i genitori di Alvise e Roberto sono amici e insieme danno la spinta che porterà i figli a fondare nel 1987 l'attuale Idea Group, che assorbe quattro aziende che fabbricano tutto ciò che fa parte del mondo dell'arredobagno.
Sedi tra Nuvolè di Gorgo al Monticano e Brugnera, dentro pochi chilometri tra i fiumi Livenza e Meduna. Anche questa volta c'è di mezzo un altro emigrato, un italoamericano. Lo stabilimento principale si estende su 40 mila metri quadrati; 256 dipendenti, fatturato di 80 milioni di euro. Serve una fascia medio alta del mercato, esporta metà della produzione tra Europa, Russia e Usa. Ora puntano alla Cina dove hanno appena aperto due grandi negozi. A guidare il gruppo sono Alessandro Alvise Colledan, 58 anni, di Motta di Livenza, e Roberto Lucchese, 69 anni, nato a Buenos Aires. Il settore dell'arredo bagno conta in Italia 250 aziende, dal piccolo artigiano al leader ci sono tutte, ma quelle importanti sono una dozzina e a Nordest c'è la concentrazione massima del settore, soprattutto tra le province di Treviso e Pordenone. In quel numero ristretto c'è Idea Group. «La nostra forza è la varietà del prodotto, tu lo disegni e io te lo realizzo, scegli le forniture, è componibile, in quaranta colori diversi».


Roberto Lucchese, come è nata la vostra azienda?
«I miei erano emigrati, papà Elio e mamma Vanda erano andati in Argentina nel 1949 e avevano aperto un grande mobilificio. Sono nato a Buenos Aires e sono stati anni bellissimi, c'era una fortissima aggregazione di italiani. Papà non voleva che giocassi a pallone, diceva che la rovina dell'Argentina era il calcio: il lunedì se la squadra vinceva non veniva a lavorare nessuno. Ha resistito 17 anni e poi ha detto basta. Quando gli chiedevo perché andavamo via da quel Paese che mi sembrava così bello e dove non ci mancava niente, mi rispondeva: Perché qui se lo mangiano questo Paese e andarcene è la nostra fortuna. Aveva ragione lui, incominciavano anche i problemi con gli argentini; per loro tutti gli italiani erano Tanos, dicevano che venivano a rubargli il lavoro. Ci sono grandi differenze tra noi e loro, a incominciare dall'instabilità politica ed economica, anche se è un popolo all'ottanta per cento fatto di spagnoli, tedeschi e italiani. Dopo il diploma di ragioniere sono entrato nel piccolo mobilificio che aveva aperto papà, ma sono uscito presto dalla scrivania per andare in giro per l'Italia, fino a quando con Alessandro non abbiamo creato una nostra società».


E Colledan come è arrivato all'azienda?
«La mia è una famiglia di imprenditori, ho preso il diploma di geometra poi ho fatto l'alpino a Tarvisio: una bella esperienza di vita, ti abbassa le orecchie. Poi c'è stata la possibilità di fare società con Roberto e siamo partiti da zero. Nel frattempo mi sono sposato con Marzia che insegna all'università di Padova e abbiamo un figlio Matteo che fa un master in Inghilterra. I nostri genitori erano entrambi falegnami, i primi macchinari ce li hanno forniti loro. Mio padre ora ha 87 anni, ha chiuso per limiti di età, viene a trovarci tutte le mattine, beviamo il caffè assieme e parliamo di calcio. L'azienda è nata a Oderzo nel marzo 1987 in un capannone in affitto di 500 metri quadrati. Facevamo mobili da bagno, c'era l'esigenza di arredare la parte bassa, siamo partiti subito col componibile. Abbiamo lavorato sul piano di marmo ed è stato un passaggio importante: in pochissimo tempo abbiamo avuto richieste incredibili, in due anni abbiamo fatto tre traslochi, un centinaio di assunzioni, turni continuati. I primi carichi li facevamo di notte su un camion che portava ferro e ghiaia. Abbiamo incominciato con un ragazzo di Brescia che era venuto qui per amore di una ragazza di Oderzo, ora ha una trentina di mezzi e lavora esclusivamente per noi».


Quando è arrivato il grande salto?
«Nel 1990 a Novolè, un vecchio falegname amico del papà di Roberto ci ha ceduto questa fabbrica. Era un italo americano, si chiamava Oscar Secco, inizialmente non voleva vendere, era il suo legame alla terra dei genitori. Secco è morto a Detroit qualche anno dopo il rientro in America. Questa fabbrica enorme era un investimento importante, ci siamo allargati a Fontanelle, abbiamo creato altri brand per una clientela di nicchia e, tre anni dopo, abbiamo colto la forte richiesta del settore lavanderia e ci siamo dedicati a questo spazio dimenticato della casa: sottoscala, lavanderia, garage. A Oderzo abbiamo aperto una linea di bagni più economici e nel 1995 abbiamo fatto la nostra prima acquisizione di un'azienda che fabbrica marmi, un materiale per il quale dipendevamo da altri. Nel 2007 la quinta acquisizione con una ditta toscana specializzata in box doccia e piatti ed è stata una palestra importantissima: uscire dal legno e andare nel vetro non è stato facile.


Come è andata con la pandemia e come si presenta il domani?
«Dopo una chiusura di quattro settimane, abbiamo sempre lavorato e il fatturato è cresciuto. In questo momento, però, mancano le materie prime, i produttori non riescono a far fronte alla richiesta. Il lockdown ha fermato la produzione in Cina e Usa, poi ci sono stati molti acquisti e una domanda altissima nonostante prezzi cresciuti. Ci sono aziende venete in cassa integrazione per mancanza di materia prima. Bisogna rendersi conto che oggi è la Cina che comanda il mondo. Il nostro obiettivo è crescere per esportare, abbiamo già acquistato i terreni per ampliarci».


Che cosa è cambiato in questi anni? 
«È cresciuta enormemente la concezione di sostenibilità. Dopo la prima grande crisi del 2009 ci siamo guardati in faccia: come avevamo lavorato fin lì non andava più bene. I clienti ci chiedevano prodotti più accessibili, abbiamo cambiato modo di pensare, abbiamo creato corsi interni per fare formazione dall'operaio all'impiegato. Siamo cresciuti come cultura, badiamo molto al welfare aziendale, si è alzato il livello di qualità del prodotto, oggi abbiamo cinque ingegneri nello staff. Non può essere solo l'azienda di due padroni, anche se vogliamo restare un'azienda a livello familiare. 


Solo fabbrica e sostenibilità?


«Abbiamo la passione per il calcio dilettantistico, siamo lo sponsor del Porto Mansuè che gioca in Eccellenza. Amiamo tutto quello che è motore e abbiamo una collezione di moto e macchine d'epoca: ci sono, tra le altre, una Topolino verde del 1951, una MG bianca del '64, una moto Falcone Guzzi del 1948, anche la prima Lambretta e una Iso 125 del 1950».
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Il Gazzettino