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Non arriva a mille abitanti, ne conta secondo l’ultimo censimento 932. Una valle stretta, nelle Alpi Giulie, che sbocca con una sola strada di montagna verso il confine tra il Friuli Venezia Giulia e la Slovenia. Resia è un puntino sulla cartina geografica, che diventa un segno rosso sui libri di storia. Da lì è passata, tra il 1917 e il 1918, l’avanzata austroungarica dopo Caporetto. Gli abitanti sono stati strappati dalle loro case. Conoscono la guerra. Ma la particolarità è ancora un’altra: a Resia si parla un dialetto praticamente sovrapponibile alla lingua russa. “La Russia del Friuli”, la chiamano a volte la vallata. Ebbene, oggi in quella stessa valle che di Mosca è amica tanto da promuovere un gemellaggio con un comune dell’Oblast della capitale russa, si ospitano profughi ucraini. «Perché chi ha conosciuto la guerra vuole solo la pace», spiega il sindaco Anna Micelli.
LA STORIA
Resia da anni è un comune gemellato.
L’OSPITALITÀ
Una comunità russofona, isolata, legata storicamente ai popoli slavi dell’est. Quindi a Mosca, perché no. Si sarà mostrata fredda di fronte all’emergenza umanitaria e più vicina alle posizioni della Nazione a cui tende per ragioni linguistiche e non solo? No, è accaduto il contrario. A Resia, infatti, sono già arrivati tre profughi in fuga dall’Ucraina. Soggiornano da parenti, a loro volta perfettamente integrati nella valle. E il sindaco ha garantito altri dieci posti liberi per aumentare le potenzialità dell’accoglienza. «Nel 1917 - ricorda sempre Anna Micelli - siamo stati a nostra volta profughi. Ci hanno portati via dalle nostre case, la comunità sa cosa voglia dire. La guerra va ripudiata sempre, siamo molto amareggiati per quello che sta succedendo e anche con la parrocchia abbiamo avviato iniziative solidali con il popolo ucraino. I popoli devono parlarsi». Anche in un comune gemellato con un paese russo quando mezzo mondo progetta come isolare Mosca.
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Il Gazzettino