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BELLUNO - Quasi ogni aspetto della vita degli indagati è finito nelle intercettazioni della Guardia di Finanza. Una frase pronunciata ad alta voce. Un messaggio scritto, modificato, cancellato, riscritto e poi inviato. Addirittura l’acquisizione di una schermata. E poi, certo, le lunghe conversazioni sulla gara del gas. Gli inquirenti hanno afferrato la vita dei tre indagati, iscritti nel fascicolo del procuratore Paolo Luca per turbata libertà degli incanti, con gli artigli del “trojan”. Il sindaco di Feltre Paolo Perenzin (avvocato Luciano Perco), il sindaco di Quero e amministratore unico di Bim infrastrutture Bruno Zanolla (avvocato Massimo Moretti), il direttore tecnico della società, nonché ex senatore ed ex sindaco, Giovanni Piccoli (avvocati Carlo Tremolada e Mario Mazzoccoli) sono stati intercettati mediante il malware che di solito viene utilizzato per i reati di maggiore gravità. Come quelli di associazione di stampo mafioso e terrorismo.
IL “VIRUS”
Si tratta infatti di un programma informatico maligno che, all’insaputa dell’indagato, viene “iniettato” su computer o dispositivi mobili per captare conversazioni, immagini, messaggi, e anche spostamenti e incontri potendo registrare con la videocamera.
LA PRIMA IPOTESI
All’inizio, però, la Guardia di Finanza aveva ipotizzato il reato di concussione che si configura quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, abusando del suo ruolo o dei suoi poteri, costringe qualcuno a dare o a promettere indebitamente (a lui o a una terza persona) denaro o altro guadagno. In questo caso la condanna oscilla dai sei ai dodici anni. Ebbene, secondo gli inquirenti, i tre indagati avrebbero esercitato delle pressioni sulla responsabile unica del procedimento per ottenere un vantaggio indebito. Che si traduce nel lustro che i sindaci dell’Atem avrebbero avuto facendo vedere all’esterno che agivano per l’interesse pubblico. Una sorta di vantaggio di carattere morale. Ipotesi che il procuratore Paolo Luca ha poi scartato. Certamente, nel modo in cui stava proseguendo la gara del gas, l’oggetto sociale di Bim infrastrutture sarebbe terminato. Cioè la società, ormai senza scopo, sarebbe finita in liquidazione. E mentre gli operai avrebbero probabilmente cambiato solo datore di lavoro, i vertici del Bim sarebbero rimasti con un pugno di mosche in mano. Quei 15 milioni di euro aggiuntivi contestati davanti al Tar, relativi al valore delle reti del gas, avrebbero potuto forse trasformare la società, darle nuova vita, destinarla a un altro tipo di attività, come ad esempio lo smaltimento di rifiuti. Si rimane nel campo delle ipotesi.
LA BATTAGLIA
Dopo le pressioni sul rup, nessuna delle quali andata a buon fine, gli indagati si sarebbero rivolti al ministro D’Incà, dichiarato dalla Procura «intermediario inconsapevole», per ottenere i contatti con Roma affinché venisse emanato un provvedimento che non avesse un carattere specifico, una circolare interpretativa da utilizzare nei ricorsi amministrativi pendenti come quello sulla gara del gas. In questi giorni gli avvocati stanno analizzando gli atti per delineare la propria strategia difensiva.
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Il Gazzettino