BELLUNO - Quasi ogni aspetto della vita degli indagati è finito nelle intercettazioni della Guardia di Finanza.
IL “VIRUS”
Si tratta infatti di un programma informatico maligno che, all’insaputa dell’indagato, viene “iniettato” su computer o dispositivi mobili per captare conversazioni, immagini, messaggi, e anche spostamenti e incontri potendo registrare con la videocamera. Pensato per incastrare mafiosi e terroristi, l’utilizzo del malware è stato poi esteso ai reati contro la pubblica amministrazione compiuti da incaricati di pubblico servizio. Ma solo per reati che, nel massimo della pena, non siano inferiori a cinque anni (come appunto la turbata libertà degli incanti che è punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni). L’inchiesta “A tutto gas” ha previsto proprio l’utilizzo del “trojan”. Gli uomini del Nucleo di polizia economico finanziaria di Belluno, diretti dal colonnello Aldo Tomada, l’hanno usato per intercettare i tre indagati e capire cosa stava accadendo intorno alla gara del gas in provincia e alle presunte pressioni che stavano subendo la stazione appaltante e il responsabile unico del procedimento.
LA PRIMA IPOTESI
All’inizio, però, la Guardia di Finanza aveva ipotizzato il reato di concussione che si configura quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, abusando del suo ruolo o dei suoi poteri, costringe qualcuno a dare o a promettere indebitamente (a lui o a una terza persona) denaro o altro guadagno. In questo caso la condanna oscilla dai sei ai dodici anni. Ebbene, secondo gli inquirenti, i tre indagati avrebbero esercitato delle pressioni sulla responsabile unica del procedimento per ottenere un vantaggio indebito. Che si traduce nel lustro che i sindaci dell’Atem avrebbero avuto facendo vedere all’esterno che agivano per l’interesse pubblico. Una sorta di vantaggio di carattere morale. Ipotesi che il procuratore Paolo Luca ha poi scartato. Certamente, nel modo in cui stava proseguendo la gara del gas, l’oggetto sociale di Bim infrastrutture sarebbe terminato. Cioè la società, ormai senza scopo, sarebbe finita in liquidazione. E mentre gli operai avrebbero probabilmente cambiato solo datore di lavoro, i vertici del Bim sarebbero rimasti con un pugno di mosche in mano. Quei 15 milioni di euro aggiuntivi contestati davanti al Tar, relativi al valore delle reti del gas, avrebbero potuto forse trasformare la società, darle nuova vita, destinarla a un altro tipo di attività, come ad esempio lo smaltimento di rifiuti. Si rimane nel campo delle ipotesi.
LA BATTAGLIA
Dopo le pressioni sul rup, nessuna delle quali andata a buon fine, gli indagati si sarebbero rivolti al ministro D’Incà, dichiarato dalla Procura «intermediario inconsapevole», per ottenere i contatti con Roma affinché venisse emanato un provvedimento che non avesse un carattere specifico, una circolare interpretativa da utilizzare nei ricorsi amministrativi pendenti come quello sulla gara del gas. In questi giorni gli avvocati stanno analizzando gli atti per delineare la propria strategia difensiva.