Api stremate dal freddo, zero miele: «Andate in fumo 400 tonnellate»

Primavera da dimenticare per gli apicoltori della Marca
TREVISO «È un disastro, tutta la stagione delle acacie è da buttare. Ora, chi ne ha in magazzino, può solo limitarsi a vendere le scorte dell’anno...

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TREVISO «È un disastro, tutta la stagione delle acacie è da buttare. Ora, chi ne ha in magazzino, può solo limitarsi a vendere le scorte dell’anno scorso, perché di miele d’acacia quest’anno non se ne parla». Le parole di Francesco Bortot, apicoltore di Montebelluna ed esponente della categoria di Confagricoltura Treviso, esprimono bene le difficoltà provocate dal maltempo al settore locale. Produzione di fatto azzerata e milioni di euro di fatturato in fumo.

 
E dire che l’annata, fino a Pasqua, procedeva con ben altre prospettive. Poi, le piogge continue e il freddo hanno impedito alle api di compiere il loro lavoro di bottinatrici, cioè di raccogliere all’esterno dell’alveare tutto il necessario per la sopravvivenza delle colonie: polline, nettare e propoli. Così gli stessi insetti sono costretti a nutrirsi del poco miele che sono riusciti a produrre.
BARLUME DI SPERANZA
L’unica speranza è un ritorno del clima primaverile, per riuscire quantomeno a salvare il resto della stagione: «Per gli apicoltori stanziali, se torna il sole -rimarca Bortot- può venire fuori un po’ di miele di millefiori e qualcosa d’altro. Gli altri invece si sposteranno in giugno nella Pedemontana per il castagno, quindi nel Bellunese per la fioritura del tiglio e infine in alta quota per il rododendro e le varie melate. Il nomadismo degli alveari è indispensabile sia per l’impollinazione e lo sviluppo degli alveari, sia per garantire tipologie variegate di prodotto. E quest’anno sarà importantissimo per salvare l’annata». Nelle stagioni migliori, il volume del miele ricavato dai fiori acacie trevigiane può sfiorare le 400 tonnellate. Nel Montello, in due settimane di fioritura, il numero degli alveari raggiunge quota 20mila. Ogni alveare è abitato nel massimo sviluppo da circa 50mila api operaie e produce dai 20 ai 30 chili di miele. Il prezzo di mercato attualmente va dai 7-8 euro al chilo, fino al doppio per il “bio”. L’appello è comunque a non ripiegare sul prodotto straniero: «I grossisti hanno ancora molto miele nostrano nei magazzini, compresi quelli meno gettonati come il castagno, tiglio, arancio. La dicitura “vero miele italiano” è una garanzia per noi produttori e per i consumatori».
PROBLEMI DIFFUSI
Ma è tutta l’agricoltura della Marca a dover fare i conti con quella che Antonio Maria Ciri, direttore della Coldiretti provinciale, definisce «tropicalizzazione del nostro clima», ovvero l’alternanza di periodi di siccità ad altri di piogge intense e continue. Con i terreni saturi di acqua, le colture giovani “soffocano”, a causa del freddo gli ortaggi non maturano e i frutti bloccano il loro sviluppo e cadono dal ramo, per un meccanismo di autodifesa della piante. Con i campi allagati, per giunta, gli agricoltori non riescono ad eseguire i trattamenti per prevenire funghi e malattie e a preparare la terra per la semina. «C’è un ritardo della stagione di almeno 20 giorni rispetto al normale andamento -conferma il dirigente dell’associazione- con tutto quel che comporta per le coltivazioni. Riscontriamo danni per i frutti in fase di raccolta, ad esempio per le ciliegie è a rischio oltre il 50% della produzione, mentre le coltivazioni orticole non maturano: per gli asparagi la diminuzione è intorno al 20%». 
GLI ALTRI COMPARTI

Se per la viticoltura, al momento, non si segnalano grossi problemi (ma certo, se la piovosità rimanesse elevata anche nelle prossime settimane, le cose si complicherebbero), ben più allarmante è la situazione per i seminativi “primaverili”, come mais e soia: «Chi è riuscito a seminare prima delle piogge -nota Ciri- ora si trova a fronteggiare l’asfissia radicale e, soprattutto, l’abbassamento delle temperature che impedisce lo sviluppo delle piante. Dove al contrario non si è ancora seminato, adesso per forza di cose si dovrà ricorrere a colture a ciclo più breve, con una conseguente diminuzione delle rese». E anche gli allevatori di bovini non dormono sonni tranquilli (al di là delle difficoltà di lunga data del comparto), a causa dell’approvvigionamento del fieno: «Il primo taglio della fienagione è a fortissimo rischio -ribadisce il direttore di Coldiretti Treviso- con una riduzione stimata tra il 30-40%».
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Il Gazzettino