Fondazione Guggenheim, Rylands ​lascia dopo quarant'anni di lavoro

Philip Rylands
Il 10 giugno sarà il suo ultimo giorno di lavoro. Dopo quarant’anni alla Fondazione Guggenheim, Philip Rylands, storico direttore dell’istituzione veneziana...

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Il 10 giugno sarà il suo ultimo giorno di lavoro. Dopo quarant’anni alla Fondazione Guggenheim, Philip Rylands, storico direttore dell’istituzione veneziana lascia Ca’ Venier dei Leoni. Ora si apre una nuova fase per la fondazione nata in ricordo di Peggy. Per il momento è ancora top secret il nome del suo successore. 


A decidere sarà, con ogni probabilità, la casa madre americana, ovvero la Fondazione Solomon R. Guggenheim che pare sia orientata a scegliere un “europeo” per il posto occupato da Rylands ribadendo la volontà di un respiro internazionale che da sempre ha caratterizzato il messaggio della Fondazione veneziana. I giochi, insomma, sono ancora tutti aperti. Ieri sera Rylands ha dato l’addio ufficiale con un ricevimento a Ca’ Venier, ma non lascerà Venezia.

Direttore Rylands, che cosa si prova a lasciare una istituzione così importante e che ha diretto per così tanti anni?
«Finisco il mio mandato al termine della terza campagna di raccolta fondi per l’ampliamento del museo. Abbiamo raccolto le donazioni e abbiamo compiuto l’ampliamento, creando una nuova caffetteria e un giardino di sculture. Inoltre abbiamo convertito gli spazi precedentemente occupati dall’ex-caffè in un’area per i visitatori, luogo di relax con WiFi e sculture, a cui si aggiungono due nuove sale espositive, le Project Rooms, e la prima aula didattica del museo. Insomma la soddisfazione di aver portato la Collezione ad una situazione di tale salute e benessere, superando i 400 mila visitatori l’anno scorso, è il principale sentimento che provo».

Quindi un lungo percorso di conquiste e di arte per la Fondazione Guggenheim in questi anni.
«Ci sono più cose: i ripetuti ampliamenti del museo, con l’apprezzatissima collaborazione della Fondazione Levi, del Comune e delle Soprintendenze per tutti i permessi, e i cantieri supervisionati dagli architetti Clemente e Giacomo Di Thiene, e in generale l’acquisizione da parte della Fondazione Solomon R. Guggenheim di altre opere che documentano la carriera e il collezionismo di Peggy». 

Non mancano nemmeno le “sconfitte”. Viene in mente il match con la Fondazione Pinault per Punta della Dogana.
«La Dogana è stata un’apparente sconfitta a breve termine, ma a lungo termine una conquista. Non c’è dubbio che il miglior candidato abbia vinto, cioè la Fondazione Pinault, fornendo un contrappeso di arte contemporanea di grande qualità all’arte moderna della Collezione Peggy Guggenheim. La nostra candidatura per Punta della Dogana era nata nel 1989 quando sia il museo di Venezia che quello di New York erano in circostanze completamente diverse da quelle del 2001, quando, in effetti sia il Comune che il Guggenheim hanno lasciato cadere tacitamente il progetto. Una sconfitta potrebbe essere anche l’acquisto fallito da parte della Fondazione di un capolavoro di Van Gogh, acquisito invece per prelazione dalla Gnam (la Galleria di arte moderna di Roma ndr) a fine anni Ottanta».

Che cosa ne pensa dell’offerta culturale di questa città? 
«Eccezionale. Il repertorio di musei, chiese, monumenti e Fondazioni stabilmente presenti in città è di un densità unica, densità che unita alle attività espositive in città, grazie soprattutto ai Musei Civici, ma anche alla Biennale che ormai raggiunge ogni angolo della città».

Venezia può candidarsi a sede di un’Agenzia europea della Cultura?
«Senz’altro. Sarebbe un’ottima cosa».

La Collezione Peggy Guggenheim ha bisogno di ulteriori spazi in città?
«La Guggenheim ha bisogno principalmente di spazi contigui, più che altrove in città, cosa che secondo me, sarebbe dispersiva. Ho lavorato per questo negli ultimi 25 anni, riuscendo a raddoppiare i metri quadrati a disposizione del museo».

Che cosa lascia in eredità al suo successore?
«Peggy Guggenheim stessa più celebre e conosciuta che mai, e il suo museo senza debiti, con tanti risorse artistiche, edifici in buone condizioni e a norma. Un posto fisso fra i musei top di Venezia e d’Italia, una collezioni di capolavori in un ottimo stato di conservazione, tanti “Amici”, e sostenitori fidelizzati, e innanzitutto, un organigramma eccellente di persone abilissime. Una squadra davvero fantastica che mi mancherà».

Ora che cosa andrà a fare? Rimane in Italia o tornerà a casa in Gran Bretagna?
«Per ora rimango a Venezia».


Il sogno che vorrebbe venisse realizzato per la Guggenheim?
«I sogni sono già realizzati». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino