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TREVISO - Il caso dell'infermiera indagata per non aver iniettato il vaccino ad una o più persone giunte alla sua postazione nel centro vaccinale di Villorba «potrebbe non essere isolato dato il numero di intercettazioni, telefoniche ed ambientali, alla quale è stata sottoposta da un certo momento in poi». Lo dice l'avvocato Stefania Monica Bertoldi, legale della donna (E. V. le sue iniziali), secondo la quale eventi di natura analoga a quelli che hanno portato la sua cliente ad essere accusata di falso ideologico ed omissioni in atti d'ufficio risalirebbero addirittura allo scorso marzo. Rispetto all'episodio nel quale è stata colta in flagranza, assieme ad una sua assistita con la quale avrebbe concordato la mancata (o non completa) iniezione del farmaco entrerebbe in gioco la necessità della utente di doversi dotare di vaccino in quanto «appartenente ad una categoria per la quale la somministrazione è obbligatoria».
Quest'ultima, tuttavia, avendo avuto l'esperienza di un figlio colpito da un attacco cardiocircolatorio dopo la somministrazione di un vaccino per l'infanzia, avrebbe maturato un forte timore verso qualsiasi forma di profilassi tale da indurla a concordare con l'infermiera un'escamotage per non ricevere la dose (intera o in parte, su questo sono in corso accertamenti).
Il Gazzettino