TREVISO - Il caso dell'infermiera indagata per non aver iniettato il vaccino ad una o più persone giunte alla sua postazione nel centro vaccinale di Villorba «potrebbe non essere isolato dato il numero di intercettazioni, telefoniche ed ambientali, alla quale è stata sottoposta da un certo momento in poi». Lo dice l'avvocato Stefania Monica Bertoldi, legale della donna (E. V. le sue iniziali), secondo la quale eventi di natura analoga a quelli che hanno portato la sua cliente ad essere accusata di falso ideologico ed omissioni in atti d'ufficio risalirebbero addirittura allo scorso marzo.
Quest'ultima, tuttavia, avendo avuto l'esperienza di un figlio colpito da un attacco cardiocircolatorio dopo la somministrazione di un vaccino per l'infanzia, avrebbe maturato un forte timore verso qualsiasi forma di profilassi tale da indurla a concordare con l'infermiera un'escamotage per non ricevere la dose (intera o in parte, su questo sono in corso accertamenti). Pare anche che la professionista, 48 anni, a sua volta madre di un minore con seri problemi di salute, potrebbe aver accettato per una forma di 'empatia' con la utente da vaccinare, aspetto che farebbe perciò declinare la vicenda su un piano emotivo più che di azione calcolata diretta ad altri fini. Nel caso in cui, invece, fosse confermata l'esistenza di altri episodi, questa lettura perderebbe di consistenza ma, riconosce l'avv. Bertoldi, «fino a questo punto la mia assistita non mi ha dato modo di comprendere la ragione di eventuali comportamenti precedenti simili o di intuire forme di condizionamento da parte di terzi».