Fiesso d'Artico. Non somministra i farmaci agli anziani in casa di riposo, infermiera condannata a un anno e nove mesi per falso

Fiesso d'Artico. Non somministra i farmaci agli anziani in casa di riposo, infermiera condannata a un anno e nove mesi per falso
FIESSO D'ARTICO - É stata condannata per falso l'ex infermiera della casa di riposo "Residenza la salute" di Fiesso d'Artico, finita sotto accusa per...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

FIESSO D'ARTICO - É stata condannata per falso l'ex infermiera della casa di riposo "Residenza la salute" di Fiesso d'Artico, finita sotto accusa per non aver somministrato i farmaci agli anziani ospiti della struttura. Ieri il giudice monocratico di Venezia, Francesca Zancan, ha condannato la donna, Elena Viola, 33 anni, a un anno e 9 mesi, con la sospensione condizionale della pena, nonché al risarcimento della casa di riposo, costituitasi parte civile con l'avvocato Matteo Garbisi, fissato in 10mila euro. Il pubblico ministero, Christian Del Turco, aveva chiesto una condanna più pesante, 3 anni e mezzo, senza attenuanti generiche, che sono invece state riconosciute dal giudice.

UNA TESI CONTRO L'ALTRA

Un primo punto fermo in una vicenda processuale che, con ogni probabilità, è destinata a continuare. Il difensore della donna, l'avvocato Stefano Morrone, ha già annunciato l'intenzione di ricorrere in appello, una volta lette le motivazioni. Nel corso del processo l'imputata ha sempre sostenuto la sua innocenza, negando di aver saltato la somministrazioni di farmaci, raccontando invece di ritmi di lavoro impossibili - con 60 pazienti per turno, a cui somministrare una media di 13 terapie - e di una gestione delle "schede terapia" quantomeno confusa. Accusa e parte civile, dal canto loro, hanno fornito una ricostruzione del tutto diversa dei fatti, da cui risultava che l'infermiera era la più veloce a completare il suo giro, proprio perché non somministrava i farmaci, a dispetto di quel che scriveva nella scheda.
I fatti contestati a Viola risalgono all'estate del 2019. Erano stati i colleghi ad insospettirsi dei ritmi particolarmente veloci della nuova infermiera (era stata assunta a febbraio) che completava la somministrazione dei farmaci in un'ora, quando gli altri ne impiegavano più di due. A quel punto la direzione aveva deciso di controllare la dipendente, monitorando in particolare l'utilizzo di alcuni erogatori di farmaci. Si era così scoperto che il dispositivo di numerazione delle erogazioni, durante il suo turno, restava fermo nei casi di alcuni pazienti. Immediata era scattata la denuncia della donna.

PROCESSO COMBATTUTO

Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Del Turco, avevano escluso che il comportamento dell'infermiera avesse messo in pericolo gli ospiti. I farmaci sottodosati erano per lo più broncodilatatori, il cui effetto era in qualche modo recuperato grazie alla successiva somministrazione. Di qui l'accusa per la donna "solo" di falso in atto pubblico, relativo alla compilazione delle schede terapie, con le sue firme che attestavano le somministrazioni, in realtà mai avvenute. Il dibattimento, si è detto, è stato molto combattuto. Accusa e parte civile hanno puntato sul racconto degli altri infermieri, nonché sui dati raccolti dagli erogatori. La difesa ha messo in dubbio la stessa autenticità delle firme, insistendo sulla confusione legata ai carichi di lavoro. Ma alla fine il giudice ha deciso per la condanna, pur con le attenuanti e la sospensione della pena. Soddisfatto l'avvocato Garbisi, per la "Residenza la salute". «La denuncia e la costituzione come parte civile erano atti dovuti per una struttura accreditata, che risponde a tutti i requisiti di legge, anche rispetto al numero di operatori». Per la donna, che non lavora più come infermiera, parla l'avvocato Marrone. «Ha cambiata completamente settore, ma non vuole questa macchia. Convinti della sua innocenza faremo ricorso». Se ne riparlerà in Appello.

Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino