«Lui, ex della Mala che mi ferì, è libero, io da 26 anni inchiodato in carrozzina»

Maurizio Cesarotto
PADOVA - «Non riuscivo ad alzarmi da terra. Le mie mani slittavano sull’asfalto. Non capivo. Poi le ho guardate, erano piene di sangue mi avevano colpito. Un...

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PADOVA - «Non riuscivo ad alzarmi da terra. Le mie mani slittavano sull’asfalto. Non capivo. Poi le ho guardate, erano piene di sangue mi avevano colpito. Un istante dopo l’urlo di Loris, l’urlo della morte». È la testimonianza choc dell’ex assistente capo della polizia Maurizio Cesarotto, ferito e costretto per sempre su una sedia a rotelle dai colpi di arma da fuoco sparati, il 20 aprile del 1993 a Olmo di Creazzo in provincia di Vicenza, da Ennio Rigato. Uno dei luogotenenti della Mala del Brenta, cognato di Felice Maniero. Un bandito vero, dagli occhi di ghiaccio, che 26 anni fa di quel giorno di primavera ha tolto la vita anche al poliziotto Loris Giazzon di soli 28 anni. Domenica Rigato uscirà dalla casa di reclusione Due Palazzi e sarà un uomo libero. Per la giustizia ha scontato la sua pena. «Giusto, giusto per la bella stagione, così può andare a prendere il sole, magari si abbronza» ha commentato sarcastico Cesarotto nella sua abitazione di Mestrino, un comune alle porte di Padova.

 
LA RAPINA
Il teatro della tragica rapina era stato davanti alla sede della Banca Popolare di Vicenza. Una ferocia che non conosce limiti. In corso Italia a Olmo di Creazzo presi dalla frenesia del sangue tre banditi avevano sparato per uccidere. Caduto l’agente di polizia Loris Giazzon e lasciato a terra gravemente ferito il suo collega Maurizio Cesarotto, i tre della banda Maniero non erano riusciti a togliere la mano dal grilletto di un kalashnikov e di una pistola 7,65. Avevano sventagliato raffiche a destra e a manca: solo il caso aveva evitato che la tragedia assumesse proporzioni allucinanti. Dalla banca i malviventi erano usciti facendosi scudo del direttore Claudio Retis e del cliente Giannico Amabile: «Non sparate, abbiamo gli ostaggi» avevano gridato i sodali di Faccia d’Angelo. A quel punto le armi in mano ai poliziotti si erano abbassate. Non però quelle dei malviventi: erano stati i colpi partiti dal kalashnikov a ferire Maurizio Cesarotto e a freddare, un proiettile preciso al cuore, Loris Giazzon, che cercava riparo in un camminamento a fianco del bar-pizzeria Europa. Prima di andarsene Ennio Rigato aveva urlato: «Ne ho presi due».
LA CONDANNA
Nel 2003 era stata confermata dalla Cassazione la condanna a trent’anni per Ennio Rigato. I giudici della suprema corte avevano respinto la richiesta della riforma della sentenza d’Appello da parte del legale di Rigato, che sosteneva che il suo assistito era incapace di intendere e volere, e che le intercettazioni ambientali prodotte durante il processo erano da ritenersi nulle così come dovessero essere giudicate inattendibili le dichiarazioni del pentito Pasqualino Crosta che aveva ammesso di aver compiuto svariati assalti e rapine con Rigato. Ma domenica, dopo 26 anni di carcere, Ennio Rigato di 70 anni sarà un uomo libero. In carcere a Padova si è comportato da detenuto modello e già da alcuni anni poteva uscire dal penitenziario, per andare a lavorare in una cooperativa. Per la legge ogni sei mesi ha ottenuto 45 giorni di sconto delle pena: morale potrà lasciare la sua cella quattro anni prima. 
LA RABBIA

«Quel giorno quelli di Maniero - ha ripreso Cesarotto - volevano uccidere. Noi eravamo senza pistole e loro hanno fatto fuoco lo stesso. Ennio Rigato rideva. Quei volti non li dimenticherò mai. Li ho bene impressi nella mia memoria». Maurizio Cesarotto, il 7 aprile del 1993 tredici giorni prima della tragica rapina, era diventato papà di Matteo ora poliziotto anche lui al Secondo reparto mobile a Padova. «Da quel 20 aprile di 26 anni fa, la mia vita è stata rovinata per sempre. Mi hanno tolte tutte le gioie. Non sono riuscito a fare il padre e nemmeno il marito» ha raccontato con un filo di voce Cesarotto che oggi ha 56 anni. L’ex agente fatica a parlare. Negli anni è stato costretto a subire decine di ricoveri e di operazioni. Il suo è un calvario senza fine. E adesso deve anche cambiare la sedia a rotelle, che gli costerà seimila euro. «Sono stato abbandonato - ha sottolineato - e ogni giorno soffro di dolori lancinanti. Penso sempre al mio compagno Loris e non mi do pace. E mentre lui è morto e io sono inchiodato su una sedia a rotelle - ha terminato - Ennio Rigato esce di galera. Ma dov’è la giustizia? Ma dov’è la certezza della pena? Tutti si ricordano delle facce dei cattivi, ma nessuno si ricorda dei volti delle vittime. L’umanità è andata perduta». 
Marco Aldighieri  Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino