Eleonora, uccisa dalla leucemia: «Mia figlia rifiutava la chemioterapia»

Eleonora Bottaro
PADOVA - Eleonora non voleva saperne di affrontare la chemioterapia. Era convinta di poter guarire con cure alternative e sperimentali. Per un'ora e mezza, davanti al...

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PADOVA - Eleonora non voleva saperne di affrontare la chemioterapia. Era convinta di poter guarire con cure alternative e sperimentali. Per un'ora e mezza, davanti al Tribunale, Rita Benini, mamma della diciassettenne stroncata da una gravissima forma di leucemia dopo aver rifiutato i protocolli della medicina tradizionale, ha difeso a spada tratta la volontà della figlia. La donna, imputata di omicidio colposo assieme al marito Lino Bottaro per non aver sottoposto la ragazza ai cicli chemioterapici, ha scelto per la prima volta di parlare pubblicamente a quasi tre anni dalla tragedia che ha sconvolto la sua famiglia. Il calvario di Eleonora inizia il 12 febbraio 2016 quando il medico di base, il dottor Renato Taglietti, ordina il ricovero urgente della diciassettenne.


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É lui per primo a parlare di sospetta leucemia. «Eleonora non voleva saperne di andare in ospedale ma il dottore ce l'ha ordinato. Se ci rifiutavamo era pronto a chiamare i carabinieri per un accompagnamento forzoso». Perché la ragazza era così riluttante? I Bottaro sono seguaci del metodo Hamer, il medico tedesco fautore della nuova  medicina germanica assolutamente priva di validità scientifica e di idoneità terapeutica, e soltanto pochi mesi prima si erano rivolti al dottor Paolo Rossaro per curare un fastidioso dolore alla schiena. Il medico radiato dall'Ordine dopo aver sostenuto l'utilità di terapie alternative alla chemioterapia aveva prescritto una terapia di agopuntura. 

IL RICOVERO«Quando ci sono stati dati la diagnosi e il protocollo abbiamo chiesto al professor Basso e allo staff di Oncoematologia pediatrica di trattare Eleonora con delicatezza. Lei conosceva il calvario di Marta, un'amica scout morta in quel reparto, e lo stesso giorno ricorreva l'anniversario della morte di suo fratello Luca. Abbiamo chiesto di rinviare la comunicazione. Ed invece i medici hanno insistito. Il professor Basso le ha spiegato che la malattia poteva essere mortale e che avrebbe dovuto affrontare la chemioterapia. Per nostra figlia è iniziato l'inferno. Era terrorizzata. Non mangiava e soffriva di incubi notturni. In quattro giorni è dimagrita di quattro chili. Occorreva darle un po' di tempo per rimettersi. Ed invece il mercoledì (17 febbraio, ndr) pretendevano l'autorizzazione a procedere con la chemio. Il medico legale ci ha avvisato che, in caso contrario, ci avrebbe segnalato al Tribunale dei Minori. E così ha fatto».
LE DIMISSIONI«Nostra figlia non voleva più saperne di restare in ospedale. Avrebbero dovuto legarla al letto per farle la chemio. Il 26 febbraio abbiamo firmato le dimissioni. Io ho continuato ad assisterla mentre mio marito ha macinato migliaia di chilometri in cerca di una struttura in grado di accoglierla. Dovevamo andare al Gaslini di Genova ma non si è liberato il posto. Alla fine abbiamo optato per Bellinzona. Eravamo lì solo da un giorno quando il primario voleva buttarci fuori dall'ospedale. Aveva scoperto che il Tribunale dei Minori ci aveva sospeso la patria potestà nominando come tutore il professor Paolo Benciolini. Noi siamo caduti dalle nuvole. Non sapevamo del provvedimento».

In Svizzera Eleonora ha manifestato segnali di ripresa. Al punto da poter rientrare a casa e rimettersi a studiare. «Si è guadagnata la promozione e ha ripreso una vita quasi normale. Ma era sotto stress, con lo spauracchio del tribunale e dei servizi sociali. Avrebbe potuto essere prelevata da casa in qualsiasi momento e sottoposta alla chemioterapia». In realtà la malattia non le ha mai dato tregua fino al decesso avvenuto il 29 agosto in un letto dell'ospedale di Schiavonia: «Stava giocando a carte con il fidanzato e la cugina quando si è spenta. Il suo cuore ha ceduto». Fino all'ultimo Eleonora è rimasta ancorata ai suoi principi: rifiuto di qualsiasi farmaco a base di morfina e nessun ricorso a terapie antalgiche. Quando il procuratore Valeria Sanzari ha incalzato la donna chiedendo se avesse mai provato a spiegare alla figlia che non c'erano altre soluzioni al di fuori dei protocolli tradizionali si è sentita rispondere: «A Bellinzona abbiamo cercato di convincerla ad iniziare la chemio. Sul suo volto abbiamo letto la delusione. E non ci siamo sentiti di insistere. Eleonora voleva provare le cure sperimentali ma il Tribunale dei Minori gliel'ha impedito. Nessuno ci ha mai proposto la cura delle cellule staminali». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino