Venti a 500 km all'ora: documentario ricorda il "ciclone del Montello"

La chiesa di Selva dopo il passaggio del tornado
Case scoperchiate, alberi e pali della luce divelti e scaraventati come fuscelli, edifici storici rasi al suolo, morti e feriti. Potrebbe essere cronaca di questi giorni. Invece,...

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Case scoperchiate, alberi e pali della luce divelti e scaraventati come fuscelli, edifici storici rasi al suolo, morti e feriti. Potrebbe essere cronaca di questi giorni. Invece, è il resoconto del disastro di 85 anni fa. Il 24 luglio del 1930, infatti, un catastrofico tornado si abbatté su un'ampia fascia della Marca, in particolare sull'area montelliana, tanto da essere noto come ciclone del Montello.




«È a tutt'oggi forse il più violento evento del genere che si sia mai verificato in Italia, classificato come F5 nella scala Fujita-Pearson. Il tornado che ha colpito Dolo e Mira è stato valutato F4» spiega Marino Parolin, cultore di storia locale di Volpago, che ha ricostruito quella vicenda. I tre anni di ricerche del dottor Parolin, di professione veterinario, sono stati condensati in un documentario, realizzato insieme a Carlo Bazan. Per un singolare caso, il video è stato presentato in anteprima venerdì sera a Venegazzù, a due giorni dalla tragedia nel veneziano.







A conferma di un fatto ancora vivo nella memoria collettiva, la sala non è riuscita a contenere tutti i presenti, tanto che già si pensa di ripetere la proiezione, oltre a diffondere il filmato nelle scuole. Originatosi alle Bocche di Brenta, sopra Bassano, il ciclone del Montello investì Castello di Godego, Vallà di Riese, Caselle di Altivole, Sant'Andrea di Montebelluna, Sant'Eurosia di Volpago, poi Nervesa, Susegana, Conegliano, Sacile, per esaurirsi nel torrente Cellina (Pordenone). Travolse ogni cosa per un'ottantina di chilometri, su un fronte largo da 300 a 900 metri, lasciando dietro di sè 24 vittime e un centinaio di feriti e devastazione ovunque. Le fotografie d'epoca della parrocchiale di Selva, allora considerata una delle chiese più ricche di opere d'arte della diocesi, fanno impressione. Dell'edificio sacro rimasero in piedi l'abside, l'altar maggiore e brandelli della facciata: l'intera parte centrale venne letteralmente spianata da un maglio immane. Le testimonianze di chi era allora bambino, raccolte e filmate, si assomigliano: il cielo sempre più nero, l'avvicinarsi terribile del vortice serpeggiante. «Ho girato lo sguardo e ho visto qualcosa volteggiare nell'aria -ricorda Gianni Grollo, classe 1918- Solo dopo mi sono reso conto che erano le travi delle case». Un uomo affacciatosi un istante di troppo, fu risucchiato dal turbine, trascinato in volo per il portico e oltre il muro di cinta, prima di riuscire, per sua fortuna, ad aggrapparsi a un gelso. Il quadretto della prima comunione della zia appeso alla parete, rammenta Maria Teresa Roda, fu ritrovato in Friuli e, per chissà quali insondabili canali, riconsegnato settimane dopo. E poi i superstiti di un territorio sconvolto: «Eravamo tutti spaxemai -dice Bruno Bastianon, che allora aveva 8 anni- La paura ci è rimasta dentro per 30 anni ogni volta che vedevamo una nuvola». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino