Perché le Dolomiti stanno "crollando": in 4 anni ci sono stati 11 cedimenti

L'ultimissimo crollo è di due giorni fa: a Cortina, nel gruppo del Cristallo (sottogruppo del Popena) è venuto giù l'Ago Löschner.
BELLUNO - Chi non conosce la vicenda della mela di Isaac Newton? Nessuno, ovviamente. Eppure, se il celebre fisico fosse vissuto tra le Dolomiti, la sua più grande scoperta...

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BELLUNO - Chi non conosce la vicenda della mela di Isaac Newton? Nessuno, ovviamente. Eppure, se il celebre fisico fosse vissuto tra le Dolomiti, la sua più grande scoperta non avrebbe la forma di un frutto, bensì quella di un pezzo di roccia. Certo, addormentarsi sotto un albero fa un effetto ben diverso che addormentarsi sotto una parete di Dolomia. Ma il concetto non cambia: a far cadere la mela dall'albero è la stessa forza di gravità che fa crollare le Dolomiti. E sono tanti i crolli di questi tempi. L'ultimissimo è di due giorni fa: a Cortina, nel gruppo del Cristallo (sottogruppo del Popena) è venuto giù l'Ago Löschner.



Forza di gravità e sgretolamento hanno avuto la meglio sull'ardita sottile punta di Dolomia che da sempre ha fatto da vedetta sul confine tra Auronzo e Cortina, concedendosi anche qualche sguardo sul lago di Misurina. I frequentatori del laghetto dolomitico e delle crode  intorno, abituati a guardare verso l'alto, non troveranno più la guglia, nota anche come Dito di Popena, issato a una manciata di passi da quota 3.000. Come da tempo non trovano più la Torre Trephor (sul gruppo delle Cinque Torri) e altre guglie dolomitiche, sgretolatesi sotto il peso dei millenni e della forza di gravità. 
GLI ULTIMI CROLLILa lista delle pareti franate è lunghissima. Solo negli ultimi quattro anni, ci sono stati almeno undici episodi. Si va dal Pelmo (il Caregon del Padreterno, vittima di crolli sia nel settembre 2014, sul versante verso Selva di Cadore, sia nel luglio 2016, lato San Vito di Cadore) al Civetta (colpito dalla forza di gravità nel settembre 2014 e ancora nell'ottobre 2017); ma nel conto dei crolli ci sono anche il Sorapis (che ha subito due crolli, nel maggio 2016 e ad agosto di quest'anno), la Piccola Croda Rossa, la Torre Witzenmann (sul gruppo della Croda dei Toni, ad Auronzo), il Becco di Mezzodì, e il Campanile Dimai-Punta Fiames (a Cortina). Se si va più indietro nel tempo, si trovano ancora altri episodi simili. Tutti con la stessa dinamica: la roccia si sgretola e un pezzo di Dolomiti scende a valle. «Sono le cosiddette frane di crollo - spiega Luca Salti, geologo bellunese, esperto di frane e crolli tra le Dolomiti -. Sono le più pericolose, perché sono molto veloci e non sono prevedibili. Di fatto, la roccia cade e comincia a rotolare a valle. Sono diverse dalle colate detritiche, anche queste molto frequenti sulle Dolomiti: si verificano in particolari canaloni che scendono dalle montagne, in concomitanza con precipitazioni violente e cariche d'acqua». 
Le Dolomiti non si fanno mancare niente: i crolli e le colate detritiche fanno parte del Dna delle montagne rosa, tant'è vero che molti paesi del Cadore nascono ai margini di canaloni di frana. «Questo ci fa capire come questi fenomeni siano storici - continua Luca Salti -. I crolli delle guglie e delle pareti dolomitiche non sono un fatto recente, ma ci sono sempre stati. Quella che viene volgarmente chiamata frana è la semplice tendenza all'equilibrio». In pratica, più una parete è verticale più tenderà all'equilibrio orizzontale, quindi al crollo. E le Dolomiti sono naturalmente verticali. «Le Dolomiti sono anche più fragili - aggiunge il geologo -. La roccia di Dolomia è più fratturata e maggiormente stratificata, quindi ha una propensione maggiore al crollo».

LA FREQUENZAUna propensione che si vede maggiormente negli ultimi anni. Ma guai ad imputarlo al presunto cambiamento climatico in atto. «Perché lo sgretolamento delle Dolomiti è lento: ed è un fenomeno che dura da migliaia e migliaia di anni. L'acqua innesca le colate detritiche, ma non la caduta delle guglie e di pezzi di roccia; e anche il susseguirsi di ghiaccio invernale e disgelo non produce grossi effetti, se non per crolli di proporzioni limitatissime - sottolinea Salti -. È vero: stiamo vedendo molti crolli negli ultimi anni; questo però non significa che la frequenza dei crolli sia in aumento. Semplicemente, ci accorgiamo più facilmente dei fenomeni franosi sulle pareti montuose perché c'è una maggiore frequentazione della montagna da parte di escursionisti e turisti. E poi perché c'è maggiore attenzione mediatica. Ma i crolli sulle Dolomiti esistono da sempre: è la natura stessa delle montagne. I ghiaioni di accumulo che possiamo vedere sotto le cime delle montagne non sono altro che la testimonianza dell'accumulo di vari crolli storici succedutisi nel giro di secoli. Le pareti dolomitiche hanno sempre avuto questi fenomeni e continueranno ad averli. Bisogna convivere con questo dato di fatto, che fa parte della naturale evoluzione morfologica delle montagne». Resta da capire se i turisti si abitueranno a veder cambiare il volto delle montagne rosa. Che alla fin fine sono come una bella donna: con il passare degli anni (dei millenni nel caso delle Dolomiti), qualche ruga spunta inevitabilmente. «Cambieranno le cartoline delle Dolomiti? Sì, ma ci vogliono migliaia di anni: l'evoluzione morfologica richiede ere geologiche - conclude Salti -. Nei prossimi decenni potrà venir giù qualche guglia, come stiamo vedendo. Ci sarà qualche parete dolomitica in meno, ma l'ossatura resterà quella di oggi». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino