Il primario: «Più malati giovani, chi nega il virus venga in corsia»

Il primario: «Più malati giovani chi nega il virus venga in corsia»
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TREVISO È stato riattivato solo due settimane fa. E si è già riempito. Nell'area Covid della Pneumologia dell'ospedale di Treviso, diretta da Micaela Romagnoli, si è tornati in trincea. In pochi giorni sono stati occupati 15 dei 20 letti del settore sub-intensivo. L'età media dei pazienti ricoverati è scesa da 75 a poco più di 60 anni rispetto alla prima ondata del coronavirus. E non è vero che si ammalano solo le persone già colpite da altre patologie. Tra i ricoverati ci sono anche due cinquantenni che erano sani come pesci e che dopo il contagio hanno sviluppato polmonite e un'importante insufficienza respiratoria. Nell'area Covid si lavora in particolare con l'ossigeno ad alti flussi e la ventilazione. Mentre un ambulatorio specifico, collegato sempre alla Pneumologia, sta seguendo le persone contagiate dal coronavirus nel corso della prima ondata: non hanno più sintomi, ma quasi il 50% presenta ancora delle alterazioni a livello polmonare. 


Dottoressa Romagnoli, si è ritornati alle condizioni dello scorso marzo? 
«I sintomi sono molto simili, anche se i numeri non sono ancora paragonabili. Continuiamo a vedere persone con importanti insufficienze respiratorie. Stiamo drenando pazienti da un po' tutta la provincia. Per il momento ci sono forse meno forme molto gravi. Ma è impossibile fare delle previsioni». 
È cambiata l'età media delle persone che hanno bisogno di essere ricoverate? 
«Si è abbassata. Nella prima ondata si era sui 75 anni. Adesso tra i 60 e i 65. Alcuni pazienti ricoverati avevano dei fattori di rischio, come cardiopatie e obesità. Ma ci sono anche due pazienti, entrambi cinquantenni, che erano completamente sani». 
Che cure ci sono oggi? 
«Oltre all'ossigeno ad alti flussi e alla ventilazione, i farmaci che hanno dimostrato più efficacia sono i cortisonici e il Remdesivir. Sono poi in corso, anche a Treviso, degli studi sul plasma dei pazienti già infettati in precedenza. Non è ancora stata identificata come una terapia efficace, va specificato, ma la ricerca sta continuando». 
Avete abbastanza personale, tra medici, infermieri e operatori, per rispondere alle richieste che arrivano in questo momento critico? 
«La carenza di personale è un nodo noto. Noi stiamo seguendo un piano preciso: se si dovesse passare a una fase di maggiore gravità, sappiamo già dove andare ad attingere personale aggiuntivo. Anche da altre unità operative. In più, stiamo attivando dei contratti per assumere medici che si sono appena specializzati». 
Ci sono stati contagi tra il personale della Pneumologia? «Mai. Nessuno nella prima fase e nessuno adesso, almeno per ora». 
Questo conferma in pieno l'utilità dei dispositivi di protezione. 
«Sono essenziali. Bisogna capire che, una volta infettati, non ci sono ancora cure specifiche. I dispositivi di protezione sono quindi la cosa più importante che ci sia: mascherine, mascherine e mascherine».
Cosa pensa dei negazionisti? «Li inviterei a venire in ospedale. Non ci credono? Che vengano a vedere i reparti. Così si rendono conto di persona. Magari si spaventano. E magari cambiano anche idea». 
Come sta andando il monitoraggio dei pazienti contagiati durante la prima ondata? 


«A distanza di tre mesi sono praticamente tutti guariti a livello clinico, cioè sul piano dei sintomi. Oggi stanno bene. Quasi il 50%, però, presenta ancora delle evidenze a livello polmonare. Sono già stati programmati per una nuova Tac al torace a distanza di 6 mesi».  Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino