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«Presidente, la mia regione è nel caos. Mi mancano posti letto. Lavora in anticipo per salvare almeno la tua». La voce, impaurita, è quella di Attilio Fontana, governatore della Lombardia. All’altro capo del telefono c’è Massimiliano Fedriga. È il 22 febbraio di due anni fa e quel giorno Fedriga prende in mano penna più pesante del suo mandato e - 24 ore dopo - per firmare la prima ordinanza. Scuole e università chiuse, come i teatri e le discoteche. Addio anche alle gite. In Friuli Venezia Giulia non c’è ancora il primo contagio accertato - arriverà il 29 febbraio - ma Fedriga decide di fare qualcosa che nessuno si aspettava: chiudere prima degli altri. «Ho pensato ai miei figli - racconta oggi -: li avrei mandati a scuola in quella situazione? Mi sono risposto che non l’avrei fatto». E da quell’istinto di padre è partita l’ordinanza.
INCERTEZZA
«Il 23 febbraio 2020 prendemmo una decisione coraggiosa - sottolinea Fedriga - chiudendo le scuole anche senza casi confermati. Scegliemmo basandoci su buon senso e prudenza e fummo in grado di prepararci meglio all’arrivo della prima ondata.
LA FATICA
Ventiquattro mesi dopo, la parola Covid non è sparita come si pensava potesse accadere dopo il lockdown duro della primavera 2020. Il virus detta ancora la linea politica dei decisori. E oggi il vocabolo più pronunciato è certamente Green pass. «È veramente surreale - spiega Fedriga a due anni dal primo allarme - un racconto fatto evidentemente per speculazione politica in cui si afferma che le Regioni sono innamorate del Green pass e non vorranno più lasciarlo perché è uno strumento di controllo dei cittadini. È una follia. Una follia pericolosa. Il Green pass è uno strumento provvisorio, prima lo togliamo e prima siamo tutti contenti. È chiaro che se la situazione migliorerà, nessuno metterà i bastoni fra le ruote per farlo. Nessuno ne è innamorato a prescindere, né il presidente del Consiglio Mario Draghi né le Regioni. Pensiamo che il certificato verde, se la situazione continuerà a migliorare, potrà essere superato. Il nostro obiettivo è quello».
I VACCINI
Il momento più bello degli ultimi due anni di pandemia è stato senz’altro quello legato all’arrivo dei primi vaccini, a fine dicembre del 2020. Ora si parla già della possibilità - in autunno - di dover somministrare una quarta dose a tutta la popolazione, dopo aver affrontato la tematica dei pazienti fragili, a cui il booster arriverà molto più presto. «Noi siamo pronti per la quarta dose per persone estremamente fragili e immunodepresse. Noi siamo pronti come lo eravamo per la terza dose quando nessuno ce l’aveva chiesto - ha affermato ancora Fedriga a margine di un incontro a Trieste -. Mi auguro che la ricerca che sta venendo avanti con vaccini specifici - ha aggiunto - anche su possibili varianti, possa portare nel più breve tempo possibile a dei frutti».
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Il Gazzettino