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SANBO STEFANO DI CADORE - «Nell’ultimo mese abbiamo visto i numeri dei positivi scendere giorno dopo giorno e oggi possiamo tirare un sospiro di sollievo». È la fine di un incubo per gli abitanti di Santo Stefano di Cadore, piccolo comune bellunese incastonato tra le Alpi e le Dolomiti, che nell’ottobre scorso è stato l’epicentro del maxi focolaio in Comelico. Il sindaco Oscar Meneghetti racconta che c’è stato un momento in cui «i contagi erano talmente tanti che non capivamo da dove provenissero». A novembre il picco massimo, con oltre 100 positivi, in un paese che conta 2.400 anime. Attualmente, a distanza di 4 mesi dai primi contagi, ci sono 5 persone in isolamento e 1 solo positivo. Santo Stefano di Cadore è un paese fantasma. Impianti da sci, ristoranti, bar, alberghi: è tutto chiuso. Le strade sono deserte. Le luci spente. E i cittadini preferiscono rimanere a casa. Nonostante la fine dell’emergenza sanitaria – il comune è quasi covid free – la paura di uscire e rivivere gli ultimi mesi è ancora palpabile. Uno dei pochi cittadini incontrati per strada spiega che «il paese è piccolissimo». Questo significa che aprire i locali ha poco senso perché «nessuno va a prendersi il caffè, se lo bevono direttamente a casa, le distanze sono troppo brevi». Inoltre mancano i turisti. E come biasimarli? Di neve ne ha fatta fin troppa, quasi 3 metri, ma per alcuni «la stagione invernale è già morta». Come mai il focolaio è scoppiato proprio in Comelico? «Ancora non lo sappiamo – chiarisce il sindaco di Santo Stefano di Cadore – Nel primo periodo era andata bene, ma da ottobre abbiamo cominciato ad avere numeri preoccupanti dovuti sicuramente ai turisti ma anche a quei cittadini che lavorano fuori comune». In poco tempo la macchia dei positivi si è allargata a tutta l’area del Comelico-Cadore-Ampezzano. Tanto da spingere alcuni sindaci a diramare, in anticipo, alcune restrizioni per il contenimento del virus. Mentre l’Usl 1 Dolomiti ha effettuato una prima indagine anche su soggetti asintomatici, appartenenti alle classi d’età più colpite, mediante tamponi in modalità drive-in proprio a Santo Stefano di Cadore. Il parroco del paese racconta che «la chiesa è rimasta sempre aperta, abbiamo celebrato tutte le funzioni a parte la processione della prima domenica di ottobre». Insomma, nessun grosso cambiamento: «Certo, abbiamo adottato alcuni accorgimenti necessari e imposto il distanziamento ma la nostra chiesa è grande. In alcune occasioni, forse, è rimasta fuori qualche persona ma è capitato poche volte. Se devo essere sincero ha influito di più la neve». Una settimana fa il paese è stato sommerso da quasi 3 metri di coltre bianca.
«Ci siamo riempiti di militari e volontari della Protezione civile» esclama una delle sorelle Buzzo che gestisce l’albergo Centrale poco distante dalla chiesa.
Il Gazzettino