Il "piano segreto" per proteggere medici e infermieri: isolati nelle foresterie

Il "piano segreto" per proteggere medici e infermieri: isolati nelle foresterie
PORDENONE - Una foresteria a disposizione di ogni ospedale, a partire da quello di Pordenone e ancora prima che i Comuni possano realmente mettere a disposizione degli spazi...

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PORDENONE - Una foresteria a disposizione di ogni ospedale, a partire da quello di Pordenone e ancora prima che i Comuni possano realmente mettere a disposizione degli spazi concordati con i privati.


«L'ospedale è senza porte, molti ancora senza un tampone, noi infermieri abbiamo paura»

IL PIANO “SEGRETO” Si tratta del piano “segreto” dell’Azienda sanitaria per “blindare” gli ospedali dall’invasione esterna del virus, cioè dalla possibilità (in realtà già testata a Pordenone, Spilimbergo e San Vito) che ad ammalarsi siano più elementi del sistema sanitario locale, dai dirigenti agli infermieri. La soluzione è stata individuata in una delle recenti riunioni di vertice: a partire dall’ospedale di Pordenone, si vuole mettere a disposizione dei dipendenti una o più foresterie (esterne ai reparti di lavoro ma non lontane dal polo medico) per il periodo acuto dell’emergenza. L’obiettivo è quello di “salvare” dal contagio i centri nevralgici dell’ospedale, permettendo ai dipendenti di non rientrare nelle proprie abitazioni e quindi di limitare al massimo possibile i contatti con l’esterno. Ovviamente si tratterebbe di una “reclusione” su base volontaria, ma l’intenzione è quella di convincere più dipendenti possibile a trascorrere la propria vita del momento tra foresteria e ospedale. Il piano è già a buon punto e sarà svelato nei dettagli nei prossimi giorni. Ci sono già anche le strutture (si era parlato ad esempio di alcuni alberghi), ma al momento sulla loro ubicazione c’è il massimo riserbo.
A SAN VITO All’hospice sanvitese, invece, si gioca ormai a carte scoperte. E in anticipo rispetto alla scadenza di domani, è già iniziata l’opera di trasformazione in un reparto dedicato ai malati di Covid-19 che hanno superato la fase ospedaliera. «I quattro pazienti ospitati prima nell’hospice sono stati trasferiti, in totale sicurezza, nella struttura intermedia polifunzionale di Sacile, dove possono essere presi in carico secondo i requisiti dell’assistenza di fine di vita, anche grazie alla presenza di un medico palliativista e uno psicologo di riferimento», ha spiegato il direttore generale dell’Azienda sanitaria, Joseph Polimeni. E la “rivoluzione” non tocca solo l’hospice, ma anche l’Rsa di San Vito, che è pronta a ospitare altri pazienti non ancora guariti. A fronte di un significativo incremento di pazienti affetti da Covid-19 ricoverati all’ospedale di Pordenone, molti dei quali con sintomatologia ridotta o assente, ma che non possono essere dismessi, si è reso necessario trasferire nelle strutture territoriali queste persone, che sono sì in fase di guarigione ma ancora non negative al tampone. Questo per dare spazio nel reparto Covid-19 pordenonese ai nuovi flussi di pazienti che devono affrontare un spesso impegnativo percorso di cura. Nell’ambito di queste esigenze è stata individuata una soluzione idonea a garantire una disponibilità di 18 posti letto per questi pazienti in via di guarigione: un’area di nove posti letto nell’ex hospice di (dotata di un adeguato monitoraggio clinico e personale addestrato a gestire situazioni complesse) e un secondo spazio di nove posti letto nell’attuale Rsa di San Vito (di fatto già occupata con 8 pazienti Covid positivi sanvitesi). La scelta è ricaduta sull’area di San Vito in quanto l’unica ad avere da subito tutti requisiti necessari di sicurezza sia strutturali sia di percorso, oltre a quelli professionali, con netta e garantita separazione rispetto all’ospedale e alla sede della medicina generale.

LE PRECAUZIONI In merito al trattamento dei pazienti positivi, il vicepresidente della Regione, Riccardo Riccardi, ha annunciato che presto potrebbe arrivare da Roma una direttiva per rendere obbligatoria la quarantena contumaciale per i conviventi della persona contagiata. Il rilevamento di una negatività, infatti, non dà una garanzia a 360 gradi, a meno che l’esame non venga ripetuto ogni 48 ore. 
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Il Gazzettino