I negazionisti hanno bisogno di una prova per crederci? Eccola qui: Maria Rita Marchi, 56 anni, attuale primaria di Pneumologia all'ospedale di Cittadella, già...
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LA MALATTIA
Il 25 marzo la dottoressa Marchi stava coordinando da un paio di settimane un'équipe multidisciplinare di 19 collaboratori, provenienti da Schiavonia, Cittadella e Camposampiero, nella gestione dei 52 posti-letto destinati ai contagiati che avevano bisogno della ventilazione meccanica. «Ma quel giorno racconta mi sono ammalata anch'io. Siccome non volevo condizionare i colleghi nella conduzione del mio caso, ho chiesto di essere ricoverata in Azienda Ospedaliera, dove avevo lavorato per oltre vent'anni. Di quegli 8 giorni in reparto, trascorsi dall'altra parte della barricata, ho dei ricordi molto vivi. Cercavo di mantenere una lucida concentrazione, pronta a capire se la situazione stesse degenerando. Così per esempio da medico mi misuravo la saturazione. Ma poi la notte, da paziente, dormivo poco. Quando la fase acuta è passata, ho continuato l'isolamento a casa. È stato un mese molto difficile, nonostante il sostegno ricevuto da molti, a cominciare dall'Ulss 6 Euganea. Scrivevo documenti di lavoro, tentando di non pensare ai sintomi, che però erano tanto affaticanti. Finché finalmente mi sono negativizzata e ai primi di maggio sono rientrata in servizio».
IL MURO
Oggi la primaria si è «totalmente ripresa, non ci sono stati reliquati», come dicono i sanitari quando escludono postumi. Tranne uno, un'eredità preziosa: «La malattia per me è stata un'esperienza importante, sotto tutti i punti di vista. Mi è servita anche per confrontarmi con i pazienti, per i quali abbiamo aperto un ambulatorio post Covid, dove continuiamo a seguirli sul piano pneumologico, cardiologico e riabilitativo. Quelli oltre i 60 anni hanno la consapevolezza di esserne venuti fuori, benché con molta difficoltà. Invece la fascia d'età fra i 40 e i 55 è ancora emotivamente molto provata: dopo mesi stanno tuttora vivendo un pesante recupero psicologico, continuano a lamentare sintomi di affaticamento, non hanno ancora smaltito la solitudine dell'intubazione. Per questo mi pare impossibile che si sia potuto formare un muro fra noi che l'abbiamo vissuto e quelli che negano una realtà clinica oggettiva, ostinandosi a rivendicare una presunta libertà...».
L'ERRORE
Inevitabile il riferimento ai giovani del Non c'è più Coviddi, contro cui però la dottoressa Marchi non vuole puntare il dito: «Sono un'umile operatrice, lavoro in trincea, non mi interessa fare demagogia. Se i ragazzi sono arrivati a tanto, probabilmente c'è stato un errore di comunicazione e la colpa è anche di noi sanitari. Per questo ora dobbiamo fare un'opera quotidiana e instancabile di informazione, chiedendo pure ai genitori di parlarne con i loro ragazzi. La chiusura delle discoteche? È solo un piccolo passo, non è solo con quella che ne verremo fuori. L'obbligo di mascherina dalle 18 alle 6? Dobbiamo imparare a indossarla sempre, indipendentemente dall'orario. Il vaccino contro l'influenza? Facciamolo già a metà settembre, perché tra un mese e mezzo assisteremo a un'esacerbazione delle malattie respiratorie croniche e dovremo capire quale virus abbiamo davanti. Bastano pochi comportamenti, concreti e responsabili, per essere parte di una squadra».
UN GIRETTO
Magari di rugby, sport che è la passione sua e di suo figlio Mauro, il ragazzino che tre mesi fa aveva commosso il Veneto con una lettera aperta alla mamma e ai suoi colleghi: «Siamo tanto, tanto orgogliosi di voi». E a quanti ancora non ci credono, la primaria-paziente propone «un giretto in qualche centro Covid», giusto perché possano vedere con i loro occhi. E poi tacere.
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Il Gazzettino