«Io primaria contagiata, dico ai negazionisti: ecco com'è devastante il Covid»

Martedì 18 Agosto 2020 di Angela Pederiva
Rita Marchi con Mauro che aveva commosso il Veneto con una lettera a aperta
I negazionisti hanno bisogno di una prova per crederci? Eccola qui: Maria Rita Marchi, 56 anni, attuale primaria di Pneumologia all'ospedale di Cittadella, già direttrice della Terapia semi-intensiva al Covid Hospital di Schiavonia, ex ricoverata in Fisiopatologia respiratoria al policlinico di Padova. Medico che ha visto i malati guarire ma anche morire («Una situazione clinica devastante»), paziente che ha osservato su di sé gli effetti del Coronavirus («Una polmonite che ti cambia la vita»). Un doppio ruolo che ogni tanto induce allo sconforto pure un'ottimista come lei: «Di fronte alle immagini degli assembramenti, a volte penso che stiamo mandando al diavolo tutti gli sforzi di quei mesi. Ma proprio per rispetto di quei sacrifici, so che non dobbiamo mollare e allora continuo a ripeterlo: mascherina, distanziamento, vaccino contro l'influenza. Se ne convincerò anche soltanto uno, sarà un grande risultato».

LA MALATTIA
Il 25 marzo la dottoressa Marchi stava coordinando da un paio di settimane un'équipe multidisciplinare di 19 collaboratori, provenienti da Schiavonia, Cittadella e Camposampiero, nella gestione dei 52 posti-letto destinati ai contagiati che avevano bisogno della ventilazione meccanica. «Ma quel giorno racconta mi sono ammalata anch'io. Siccome non volevo condizionare i colleghi nella conduzione del mio caso, ho chiesto di essere ricoverata in Azienda Ospedaliera, dove avevo lavorato per oltre vent'anni. Di quegli 8 giorni in reparto, trascorsi dall'altra parte della barricata, ho dei ricordi molto vivi. Cercavo di mantenere una lucida concentrazione, pronta a capire se la situazione stesse degenerando. Così per esempio da medico mi misuravo la saturazione. Ma poi la notte, da paziente, dormivo poco. Quando la fase acuta è passata, ho continuato l'isolamento a casa. È stato un mese molto difficile, nonostante il sostegno ricevuto da molti, a cominciare dall'Ulss 6 Euganea. Scrivevo documenti di lavoro, tentando di non pensare ai sintomi, che però erano tanto affaticanti. Finché finalmente mi sono negativizzata e ai primi di maggio sono rientrata in servizio».

IL MURO
Oggi la primaria si è «totalmente ripresa, non ci sono stati reliquati», come dicono i sanitari quando escludono postumi. Tranne uno, un'eredità preziosa: «La malattia per me è stata un'esperienza importante, sotto tutti i punti di vista. Mi è servita anche per confrontarmi con i pazienti, per i quali abbiamo aperto un ambulatorio post Covid, dove continuiamo a seguirli sul piano pneumologico, cardiologico e riabilitativo. Quelli oltre i 60 anni hanno la consapevolezza di esserne venuti fuori, benché con molta difficoltà. Invece la fascia d'età fra i 40 e i 55 è ancora emotivamente molto provata: dopo mesi stanno tuttora vivendo un pesante recupero psicologico, continuano a lamentare sintomi di affaticamento, non hanno ancora smaltito la solitudine dell'intubazione. Per questo mi pare impossibile che si sia potuto formare un muro fra noi che l'abbiamo vissuto e quelli che negano una realtà clinica oggettiva, ostinandosi a rivendicare una presunta libertà...».
L'ERRORE
Inevitabile il riferimento ai giovani del Non c'è più Coviddi, contro cui però la dottoressa Marchi non vuole puntare il dito: «Sono un'umile operatrice, lavoro in trincea, non mi interessa fare demagogia. Se i ragazzi sono arrivati a tanto, probabilmente c'è stato un errore di comunicazione e la colpa è anche di noi sanitari. Per questo ora dobbiamo fare un'opera quotidiana e instancabile di informazione, chiedendo pure ai genitori di parlarne con i loro ragazzi. La chiusura delle discoteche? È solo un piccolo passo, non è solo con quella che ne verremo fuori. L'obbligo di mascherina dalle 18 alle 6? Dobbiamo imparare a indossarla sempre, indipendentemente dall'orario. Il vaccino contro l'influenza? Facciamolo già a metà settembre, perché tra un mese e mezzo assisteremo a un'esacerbazione delle malattie respiratorie croniche e dovremo capire quale virus abbiamo davanti. Bastano pochi comportamenti, concreti e responsabili, per essere parte di una squadra».
UN GIRETTO
Magari di rugby, sport che è la passione sua e di suo figlio Mauro, il ragazzino che tre mesi fa aveva commosso il Veneto con una lettera aperta alla mamma e ai suoi colleghi: «Siamo tanto, tanto orgogliosi di voi». E a quanti ancora non ci credono, la primaria-paziente propone «un giretto in qualche centro Covid», giusto perché possano vedere con i loro occhi. E poi tacere.
 
Ultimo aggiornamento: 19 Agosto, 08:43 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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