Gli anziani: «Il coronavirus fa più paura delle bombe della guerra»

Milena Gatto ha più paura del coronavirus che dei bombardamenti della guerra
TREVISO - Chiusi in casa. Barricati. Con il timore di uscire perché se il coronavirus non fa sconti a nessuno, con gli anziani sembra si accanisca in modo particolare....

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TREVISO - Chiusi in casa. Barricati. Con il timore di uscire perché se il coronavirus non fa sconti a nessuno, con gli anziani sembra si accanisca in modo particolare. Loro, gli anziani, rispondono alla pandemia con la prudenza imparata in tempo di guerra e la paura di non rivedere i propri cari. Ma anche con un pizzico di fatalismo. Lo racconta bene Milena Gatto, 86 anni portati con il piglio e l’allegria d’animo di una ragazzina. Il peso dell’età c’è soltanto nei movimenti più lenti, nella stanchezza che arriva, alla sera, quando avrebbe ancora tante cose da fare. La mente è lucida e i ricordi intatti. Rivede, come fosse oggi, quando venne sfiorata dalla morte, nel corso del bombardamento che il 7 aprile del 1944 ha raso al suolo l’80 per cento degli edifici trevigiani, causando 1.600 vittime tra i civili. Eppure, il coronavirus le fa più paura. «La guerra è stata terribile, quando sentivamo le sirene scappavamo a nasconderci in cantina. Una volta cessato l’allarme, però, si tornava a vivere. Adesso il nemico è attorno a noi, ma non lo vediamo. È qualcosa di strisciante, che colpisce gli anziani, ma anche i più giovani e perfino i ragazzi. Ho paura». 


IL PUNTO
Milena ha vissuto una vita che meriterebbe un romanzo. Il papà, partito a combattere in Africa, era stato dato per morto. «Ma era ritornato un anno dopo quando mamma gli aveva già fatto il funerale». Quattro fratelli, uno portato via dal male da giovane e l’altra mancata pochi anni fa. E i suoi ricordi di quando era bambina. «Abitavo in via Cal di Breda. C’era la guerra e mia madre mi mandava dalla nonna a Sant’Antonino. Aveva una mucca, io dovevo portare il latte a casa e facevo la strada a piedi. È stato così anche il 7 aprile del ‘44, di fronte all’ospedale San Camillo, una bomba è esplosa accanto a me. Sono stata scaraventata nel fossato che costeggia la strada e sono rimasta lì, incosciente, per ore. Dalla guerra sapevo difendermi, avevo imparato cosa fare, quando farlo e come farlo. Ora sto chiusa in casa ma non so cosa sta succedendo là fuori». Esce giusto per fare la spesa. Il resto del tempo lo trascorre a mettere in ordine la casa, a leggere e a fare qualche lavoretto. «Sono brava con l’ago e il filo e in condominio mi chiedono di accorciare un paio di pantaloni oppure di cambiare una cerniera». L’appuntamento fisso serale è con i suoi cari. I figli, uno di Vicenza e l’altro a Desenzano, e i nipoti sparsi in giro per il mondo. «Uno dei cinqiue è medico a Parigi. Vivo con il magone che gli possa succedere qualcosa. L’altra, laureata in medicina a Madrid, è rimasta bloccata in Italia». 

I TIMORI

Silvio Bellan di anni ne ha 80. Vive a Olmi di San Biagio con la moglie. E, anche lui, ammette che questo coronavirus gli fa proprio paura. Sta chiuso in casa. «Uscire per la spesa? Non ci penso proprio. Ci va mia moglie». Silvio ha visto figli e nipoti a Natale e poi per il compleanno di uno dei ragazzini in febbraio. «Adesso ci possiamo solo telefonare. Chissà quando ci vedremo di nuovo. Intanto riordino le foto di famiglia e quelle quando lavoravo in Iraq, dove sono stato due anni, e in Cina». Si aggrappa ai ricordi e alle attività quotidiane, legge il giornale e qualche libro. Ha fatto il tecnico di serramenti per una vita, finchè non è andato in pensione e ha impiantato fabbriche in giro per il mondo comprese quelle in Asia. «Ora mi dedico al giardino di condominio. Spero che gli sforzi che stiamo facendo portino dei risultati, non soltanto dal punto di vista sanitario».  Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino