Si infetta in sala operatoria e muore. Da 20 anni attende il risarcimento

Si infetta in sala operatoria e muore. Da 20 anni attende il risarcimento
VENEZIA - È morto di lavoro, infettato nell'ospedale dove prestava servizio come infermiere. E a distanza di quasi vent'anni, benché il tribunale gli abbia...

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VENEZIA - È morto di lavoro, infettato nell'ospedale dove prestava servizio come infermiere. E a distanza di quasi vent'anni, benché il tribunale gli abbia dato ragione, nemmeno i suoi eredi riescono ad ottenere il risarcimento. Peraltro esiguo, visto che la causa era stata fatta per invalidità e che il decesso c'è stato successivamente. L'ultimo - per ora - atto di questa incredibile storia si è svolto ieri a Palazzo Ferro Fini, dove il consiglio regionale del Veneto ha votato il riconoscimento della legittimità del debito fuori bilancio derivante dalla sentenza esecutiva del Tribunale di Venezia numero 725 del 25 ottobre 2013. Perché a pagare i danni all'ex infermiere deve essere la Regione Veneto, solo che la Regione fino a questo momento l'ha tirata per le lunghe. Non solo: la legge votata ieri non ha nemmeno avuto l'unanimità, perché un precedente decreto della Direzione Risorse Strumentali non ha avuto il nullaosta della Ragione, che si è rifiutata di mettere il visto di regolarità contabile. Morale: temendo indagini della Corte dei conti, i consiglieri di minoranza hanno votato contro. La famiglia dell'ex  infermiere, in compenso, aspetta ancora i soldi riconosciuti dal Tribunale.


L'INFEZIONE
Tutto inizia all'Umberto I. È qui, nel reparto di Pneumologia dell'allora ospedale di Mestre, che lavora fino al 1999 un infermiere. All'epoca in sala operatoria le protezioni non erano adeguate, non c'erano mezzi idonei di protezione dal rischio di contatto accidentale con il sangue infetto dei pazienti. L'infermiere si infetta, si ammala di epatite B e C e di diabete mellìto. A causa delle patologie gli viene riconosciuta una invalidità dell'80%. Nel 2002 fa causa all'Ulss 36 (poi divenuta Ulss 12 o ora Ulss 3) ottenendo un parziale risarcimento di 150mila euro. Il suo legale, l'avvocato mestrino Leonello Azzarini, prosegue il giudizio nei confronti della Gestione liquidatoria dell'Unità sanitaria della terraferma - quella che a quei tempi si chiamva appunto Ulss 36 - ottenendo la condanna ad ulteriori 150mila euro. Ma quando il tribunale, con sentenza del 2013, riconosce il risarcimento del danno, l'ex infermiere è già morto. Subentrano le eredi, la moglie e due figlie, ma la Gestione liquidatoria non paga. Cioè la Regione. Viene tentato un pignoramento di circa 40mila euro, che non va in porto, però c'è la copertura finanziaria e quindi la Regione avrebbe dovuto dare quei 40mila euro. Solo che i soldi non vengono mai versati alle eredi, tant'è che domani in Corte d'Appello ci sarà l'ultima udienza in merito. Senza contare che, anche se la Regione pagasse i 40mila euro, poi ce ne sarebbero altri 110mila da versare.

LA NORMA

La vicenda è approdata ieri in consiglio regionale. E la relazione della norma - il progetto di legge numero 391 di iniziativa della giunta - messa in votazione per il riconoscimento della legittimità del debito fuori bilancio derivante dalla sentenza del Tribunale di Venezia, letta dalla consigliera Sonia Brescacin, ha reso palpabile quant'è difficile per un cittadino ottenere ragione anche quando i giudici dicono che la ragione ce l'ha. La legge approvata ieri dovrebbe agevolare il pagamento del risarcimento, ma il fatto che la Ragioneria di Palazzo Balbi abbia rifiutato il visto di regolarità contabile su un procedente decreto ha insospettito la minoranza. «Perché dovremmo noi assumerci la responsabilità? È una questione sanitaria, se ne occupi Azienda Zero», ha detto l'ex tosiana Giovanna Negro. Sulla stessa linea Piero Ruzzante (LeU): «Per la Ragioneria era l'Ulss che doveva pagare il danno riconosciuto dal Tribunale, non la Regione». La maggioranza non si è scomposta: l'operazione si configura come mera operazione gius-contabile. Spiegazioni che ai congiunti dell'ex infermiere lasciano il tempo che trovano: c'è una sentenza di cinque anni fa, a parti invertite un normale cittadino avrebbe già dovuto pagare. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino