GORIZIA - Sai cos'è la minestra jota? In Friuli Venezia Giulia le hanno dedicato un festival. Speciale evento gastronomico a Gorizia, infatti, questo fine settimana con...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Tutte le varianti
La Jota si differenzia da luogo a luogo per una serie di circostanze favorevoli o avverse alla gente che la consumava. Era fatta di niente nei paesi più isolati e, di conseguenza, più poveri; con ingredienti diversi e più sostanziosi e nutrienti nelle zone dove la terra lo permetteva. La Jota diventava perfino una pietanza ricca e ricercata in alcune zone che la storia aveva privilegiato, come il Goriziano e il Tergestino in cui è riconoscibile l'influsso determinante della cultura mitteleuropea che si respirava nelle due città suddite dell'Impero autro-ungarico. Piatto tipico della Venezia Giulia, la Jota è diffusa anche nel litorale sloveno, in Carnia, nella zona di Tolmino e in quella di Caporetto.
Data in elemosina
Alcuni studiosi ipotizzano che la jota come minestra sia nata grazie all'elemosina delle classi più abbienti. Gli ordini religiosi per ricorrenze, i nobili generalmente per assolvere alle disposizioni testamentarie distribuivano, in cimitero, terminato il rito funebre, una minestra composta di frumento e fave con il condimento, ossia con un po’ di carne in aggiunta. Forse questa è l'origine della jota.
Una minestra fatta "di niente"
L’etimologia del nome è controversa. La parola potrebbe fare riferimento al fatto che la "iota" è la più semplice lettera dell’alfabeto greco e nel linguaggio comune dire "uno iota" significa “un bel niente”. E nulla osterebbe, in secondo luogo, al fatto che il termine possa derivare dal tardo latino "jutta", brodaglia, beverone, che parrebbe a sua volta avere origine da una radice celtica, che lo studioso Gianni Pinguentini nel suo “Dizionario storico etimologico fraseologico del dialetto triestino”, del 1954, indica molto probabile. A ogni modo, dalle parti del golfo giuliano le contaminazioni lessicali, romane, celtiche, greche, slave, germaniche, francesi, dalla toponomastica alla culinaria, sono infinite.
Meglio mangiarla d'inverno
L’inverno è la stagione per la Jota, considerata tradizionale zuppa di recupero a base di fagioli, crauti, "capuzi garbi", o meglio cavoli cappucci, patate e carne. Questi gli elementi base e imprescindibili della jota. Ma non è tutto: nelle diverse preparazioni si possono aggiungere l’orzo e le patate, che sono entrate a pieno titolo nella ricetta dopo la loro introduzione in Europa, e soprattutto un po’ di carne di maiale prevalentemente affumicata per conferire alla zuppa quel tipico aroma da focolare domestico. Bontà, storia e cultura oltre le frontiere e i confini, a testimonianza che più d’ogni altro elemento il cibo aggrega i popoli e offre loro il piacere di star bene assieme.
Oggi è un piatto da chef
In fiera, per l’inaugurazione di Expomego, l’incontro confronto fra culture diverse si traduce nella presentazione e degustazione di ricette tipiche italiane e slovene della Jota: Davide Morsolin, noto chef isontino, interpreta la jota nella ricetta triestina con i capuzi e in quella delle Valli del Natisone con la brovada. Due le varianti slovene proposte dallo chef Matej Vodan della trattoria Ošterija Žogica di Solkan che utilizza rape, patate, fagioli, pancetta e salsiccia.
Dove assaggiarla
La Jota potrà essere degustata ogni giorno dai visitatori di Expomego nell'area di ristoro del padiglione D dove sarà possibile assaggiare anche il goulash, palacinke e strudel, prodotti che hanno caratterizzato la passate edizioni di Expomego. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino