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Due albi specifici: uno di cacciatori disponibili al controllo della fauna selvatica, l’altro degli agricoltori che richiedono interventi di prelievo su fondi minacciati dai cinghiali. Ma anche una specie di planimetria di terreni da segnalare e riconfigurare rispetto alla loro destinazione, in maniera tale da distoglierli dalla minaccia degli ungulati e favorire un prelievo più ragionato. Passa anche da questi interventi condivisi, la difesa dell’agricoltura.
I DETTAGLI
L’accordo di collaborazione è stato siglato ieri dalla Coldiretti Fvg e dalla Federcaccia Fvg e potrebbe essere imitato anche a livello nazionale. Dieci i punti sottoscritti nella sala Valduga della Camera di commercio di Udine e Pordenone, da parte del delegato confederale Giovanni Benedetti e dal presidente regionale delle “doppiette” Paolo Viezzi, per favorire azioni comuni contro i 20mila esemplari liberi di circolare nelle campagne e nelle aree urbane: animali che danneggiano le colture e mettono a rischio la sicurezza dei cittadini. Insieme, dunque, hanno sottolineato Benedetti e il direttore regionale di Coldiretti Cesare Magalini citando il primo punto dell’accordo, «per collaborare a progettualità che siano di aiuto nella pianificazione venatoria per contrastare il crescente fenomeno dei danni da selvaggina arrecati alle imprese agricole, compatibili comunque con una cultura tesa alla conservazione, all’uso razionale delle risorse naturali rinnovabili e alla difesa dell’ambiente e della biodiversità».
LA DENUNCIA DELLA CIA
«Le riserve, i distretti venatori e i loro direttori devono essere chiamati alla diretta responsabilità per i danni che la fauna selvatica causa all’agricoltura e alla pubblica sicurezza». Questa invece la richiesta che arriva dalla Cia Fvg–Agricoltori Italiani, tramite il suo direttore Luca Bulfone. «L’invasione dei seminati ha raggiunto livelli intollerabili. I dirigenti venatori non sempre ascoltano le richieste d’aiuto degli agricoltori i quali, in alcuni casi, hanno addirittura deciso di non seminare il mais. Alcuni di questi direttori hanno ritardato i tempi dell’apertura dei prelievi in deroga. I cacciatori, inoltre, non sono nemmeno usciti e continuano a non uscire perché attendono di poter abbattere animali di un peso maggiore. Tutto ciò non solo negando i danni subiti dai coltivatori, ma anche mettendo in campo uno scarso senso di responsabilità nella prevenzione sanitaria, poiché sappiamo quanto sia grave l’eventuale diffusione della peste suina africana trasmessa dai cinghiali che, dopo il Piemonte e Liguria (109 i capi ammalati), è stata segnalata anche a Roma dove è appena stato trovato un animale infetto». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino