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ROVIGO - La chiesa del Cristo, una delle più antiche della città, è tornata a splendere dopo la conclusione dei lavori di restauro che hanno ridato vita alla facciata e messo in sicurezza il tetto dell’edificio di via IV novembre. Ieri pomeriggio, il “ritorno alla luce” del piccolo, ma storico luogo di culto afferente la parrocchia di San Francesco, è stato celebrato nel corso dell’evento “La bellezza ritrovata”, che ha sposato la storia del luogo, raccontata con dovizia di particolari da Adriano Mazzetti, neo presidente del Sindacato della Rotonda, con i dettagli del recente intervento di restauro eseguito dalla ditta badiese Fioratto e grazie ai finanziamenti della Cei e della Fondazione Cariparo. Un racconto a più voci, guidato dal parroco di San Francesco don Marino Zorzan, che ha sottolineato come «con la chiusura del convento dei frati, tocca a noi mantenere viva la presenza di San Francesco», e introdotto dalle musiche del Quartetto sax del Conservatorio Venezze che tra i vari componimenti, ha eseguito “Fuga in sol minore opera 578” di Bach e “Un americano a Parigi” di Gershwin.
IL RACCONTO
«L’edificio ha una lunga storia - ha esordito Mazzetti - ed è inserito nella realtà francescana in città.
L’INTERVENTO
Al dato storico, l’evento ha affiancato un lungo approfondimento, con tanto di immagini proiettate, dei lavori di restauro coordinati coordinati dall’architetto Francesco Allodoli ed eseguiti, per la parte della facciata, dalla restauratrice Serena Zampollo. «Questo avvenimento - ha esordito Allodoli - corona circa 20 anni di progettazioni. Abbiamo iniziato con la chiesa, poi il progetto dell’ex canonica, abbiamo tentato il restauro dell’ex convento per farlo diventare il museo diocesano e poi questo gioiello. Sono stato fortunato perché lo abbiamo realizzato grazie agli importi della Cei e della Fondazione, altrimenti non avevamo più di 100mila euro. Presentiamo le due parti del restauro: la parte edile con la messa in sicurezza del tetto realizzata con l’ingegner Zanella e della facciata di pietre bianche grazie all’intervento e i consigli dell’architetto soprintendente Romano che ci ha guidato perché il restauro potesse essere conservativo e non avesse aspetto del rifatto, senza la ricostruzione dei pezzi mancanti».
Zampollo è entrata nei dettagli della facciata che presenta «molte alterazioni cromatiche sulle parti lapidee che non sono uguali, ma variano in tipologia marmorea, ognuna con una tipologia diversa di degrado. Dal basamento in su c’erano cavillature e fratture con lesioni sul evidenti anche sul timpano e sui tre archi. La situazione peggiore era al piano terra, con vere e proprie crepe e vuoti sotto la crepa, e lesioni che attraversavano tutta la pietra. La patologia era molto critica».
Il lavoro, passo dopo passo, è stato a dir poco minuzioso, dapprima con campioni di restauro con stuccature e materiale consolidante su piccole porzioni di facciata, e dopo il parere del soprintendente, il lavoro conservativo su scala più ampia. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino