C'è ancora Cesio-134 nei funghi del Bellunese a più di 30 anni dal disastro di Chernobyl

C'è ancora Cesio-134 nei funghi del Bellunese a più di 30 anni dal disastro di Chernobyl
BELLUNO - Funghi sotto al riflettore dell'Usl 1 Dolomiti, ma anche frutti di bosco e selvaggina: si sta studiando quanto cesio-134, ovvero il metallo tossico, sia rimasto in...

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BELLUNO - Funghi sotto al riflettore dell'Usl 1 Dolomiti, ma anche frutti di bosco e selvaggina: si sta studiando quanto cesio-134, ovvero il metallo tossico, sia rimasto in seguito all'ondata radioattiva arrivata da Chernobyl, alla fine di aprile del 1986. A fare il punto è il dottor Oscar Cora, del Servizio igiene alimenti e nutrizione dell'Usl 1 Dolomiti, nonché vicepresidente dell'Associazione micologica bellunese Bresadola. Va ricordato che i primi controlli, in collaborazione con l'Arpav, risalgono al 1999-2000. Altro monitoraggio, su piano regionale, volto a verificare la presenza di cesio e di altri metalli pesanti, fu effettuato nel 2013-2014-2015.  In realtà, a Belluno, le verifiche sono continue, sempre in accordo con la Regione, con la collaborazione dell'Arpav e con il sostegno del Gruppo micologico Bresadola, presieduto da Fabio Padovan. Sono passati più di trent'anni dal disastro della centrale nucleare di Chernobyl. Trent'anni rappresenta il tempo di dimezzamento stimato del cesio 134. Quale la situazione oggi nei funghi? «La captazione marcata riguarda solo specie particolari - spiega Cora -. In molte specie commestibili, come i finferli, cioè il Cantharellus cibarius, e le finferle, ovvero il Cantharellus lutescens, abbiamo  riscontrato una significativa diminuzione, con il decadimento di cesio-134 previsto. I porcini, poi, per nostra fortuna, captano poco il cesio così come i metalli pesanti, e, quindi, fin dall'inizio non hanno rappresentato un rischio alimentare. Ci sono, però, altri funghi, che hanno un consumo modesto, i quali presentano valori superiori a quelli consigliati, ovvero 600 Bq per chilo». 


IL CONSIGLIO
«Lasciate stare la Hygrocybe punicea - prosegue l'esperto -. È il cosiddetto fungo della brosa, da guardare e non mangiare. Assorbe moltissimo, sia cesio che cadmio. Tra l'altro è nell'elenco europeo di specie da salvaguardare, perché raro. Non mangiate, perché il cesio è alto, neppure la caperata (Rozites caperatus) e lo steclerino dorato (Hydnum repandum). Di fatto per tutti i funghi spontanei si consiglia di non esagerare nel consumo. La questione rischio non tocca il risotto con funghi misti, ma l'ingestione ripetuta e ravvicinata di esemplari di specie che hanno la capacità di assorbire metalli pesanti. Tant'è che, per qualsiasi specie, va evitata la raccolta lungo le strade o nei parchi cittadini». 

IL SOTTOBOSCONel 2013, invece, i segnali non erano proprio buoni. «Già allora - spiega il dottor Oscar Cora - i frutti di bosco erano risultati sostanzialmente liberi, compresi i mirtilli che hanno una capacità di assorbimento maggiore. Ma alcuni animali, come i cinghiali anziani, avevano mostrato una presenza di cesio significativa, nel fegato e nelle carni. Così come caprioli o cervi, animali la cui dieta è nel bosco. Oggi il problema è assolutamente ridimensionato, un alto tasso di cesio permane solo in qualche esemplare adulto. In ogni caso il rischio è collegato all'uso alimentare frequente delle carni. È la grande quantità, insomma, che mette a rischio la salute». 
Daniela De Donà  Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino