Caro-bollette, l'allarme delle imprese: «Ora si taglia, rischiamo di lavorare solo 4 giorni a settimana»

Renato Mascherin (Brovedani)
PORDENONE - «Una mazzata che ci è piovuta addosso in pochissimo tempo. E pure nel mezzo delle difficoltà ancora apertissime legate ai prezzi alle stelle di...

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PORDENONE - «Una mazzata che ci è piovuta addosso in pochissimo tempo. E pure nel mezzo delle difficoltà ancora apertissime legate ai prezzi alle stelle di materie prime e componenti, oltre che dei trasporti. Dopo le bollette energetiche dell'ultimo bimestre dell'anno scorso abbiamo fatto due conti. Nel 2022 ci ritroveremo a dover pagare oltre un milione di euro in più rispetto al 2021 per energia elettrica e gas. Una cifra da capogiro che in qualche modo dovremo recuperare». Non sa se essere arrabbiato o disperato Renato Mascherin, presidente della Brovedani Spa, società del Gruppo Brovedani di San Vito al Tagliamento (Pordenone), leader nel comparto dell'automotive che occupa circa 370 addetti. Non proprio un'azienda energivora (stanno peggio fonderie e vetrerie) ma in una fascia media di consumi. «Stiamo valutando anche l'ipotesi di ridurre la settimana lavorativa per risparmiare sugli impianti e sul riscaldamento. Cominceremo a ragionare sul sabato mattina. Ma - ipotizza il presidente della storica azienda, un gioiello della metalmeccanica pordenonese nel settore dei componenti per motori di auto - se la situazione dovesse perdurare o peggiorare si potrebbe valutare di lavorare quattro giorni, in modo da concentrare l'attività e spegnere impianti e riscaldamento nella restante parte della settimana. Certo sono scelte complicate e da discutere, ma quel milione va recuperato». Ma come alla Brovedani, nella zona industriale del sanvitese - è lo stesso qualche chilometro più in là nel distretto pordenonese della meccatronica o nell'area del legno-arredo a cavallo del fiume Livenza - sono diverse le aziende che rischiano di finire in ginocchio e rallentare gli impianti a causa dei maxi-rincari delle bollette dell'energia.

ADDIO COMPETITIVITÀ

«Siamo a quattro, cinque volte i costi - sottolinea Mascherin - che eravamo abituati a pagare fino a dopo l'estate dell'anno scorso. Sarà la ripresa industriale che ha incrementato la domanda. Sarà pure in parte il fenomeno dell'inflazione. Ma qui il vero problema è che costi di quel tipo rischiano di mandare fuori mercato intere filiere del sistema manifatturiero locale e nazionale. E rischia di crearsi una catena di aumenti che arriverà fino al consumatore finale. Anche se - precisa l'imprenditore sanvitese - a noi come fornitori i clienti non potranno mica riconoscerci tutto il super-aumento che quindi potrà solo in parte essere scaricato. È chiaro che alla fine il rischio è di perdere competitività. Soprattutto rispetto ai nostri concorrenti tedeschi o francesi. Certo, questo è un problema europeo e internazionale, ma quei governi hanno politiche energetiche che agevolano la competitività delle imprese di quei Paesi».

I RIMEDI

Come dire che i rimedi messi in campo dal governo italiano non sono sufficienti? «Quello che è stato fatto aiuta - sottolinea l'imprenditore - famiglie e piccole imprese. Ed è giusto. Ma gli altri cosa fanno? Vede, quello che più mi preoccupa è il fatto che di questa cosa che sta strangolando il mondo produttivo non se ne parla. La politica è impegnata su altro, la pandemia, il Quirinale. E va bene. Ma qui rischiamo davvero la tenuta di buona parte del sistema produttivo. E non si vede una strategia come sistema-Paese, così come manca una visione. E non abbiamo idea di quanto i super-rincari potranno durare». Mascherin, carta e penna alla mano, ribadisce: «Questo milione in più dovremmo arrangiarci a recuperarlo. E come imprese, oltre a garantire l'innovazione, la riconversione digitale 4.0, la ricerca di manodopera specializzata che non si trova, le materie prime che non arrivano, ora dovremo anche ingegnarci a risparmiare sul riscaldamento e sugli impianti». E una strada è mettere mano all'organizzazione e agli orari di lavoro. 

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Il Gazzettino