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CAORLE (VENEZIA) - Nati come abusi edilizi sulla laguna, poi sdoganati, valorizzati e protetti dalla sovrintendenza, infine paralizzati nelle loro attività da una virata del Demanio. Quella dei casoni di Caorle, vero e proprio patrimonio culturale (oltretutto riconosciuto, a questo punto) della pesca veneta, è una storia infinita. Vicenda su cui, ora, pende anche la spada di Damocle della Corte dei conti che punta a recuperare almeno una parte dei canoni delle concessioni demaniali e dell'Imu non versato. «Siamo di fronte a una mancanza di conformazione dell'esistente - ha spiegato ieri il procuratore regionale Ugo Montella - opere abusive ma ormai tutelate dalla sovrintendenza. La nostra azione sconta il limite della prescrizione, terremo conto degli ultimi cinque anni (e non dieci, come richiederebbe il demanio, ndr). Per fortuna è positivo il fatto che il Comune di Caorle si stia attivando per la gestione e la riscossione dell'Imu».
LA VICENDA
La storia dei casoni di Caorle (in tutto sono circa una trentina) è lunga e articolata. Nati per la pesca ma diventati, negli anni, dei veri e propri oggetti di culto. Pur mantenendo, sia chiaro, la propria funzione originaria, qualcuno ha ceduto alle pressioni di qualche appassionato che ha acquistato il casone per farne un punto di ritrovo per i weekend al mare con gli amici o con la famiglia. La svolta è arrivata quando quelle strutture su palafitte sono passate da demanio idrico a demanio marittimo. Cosa significa? Che un casone da pesca, oggi, deve pagare la concessione con gli stessi parametri di uno stabilimento balneare.
IMU
Altra partita quella dell'Imu, ma qui le cifre sono decisamente più modeste: per ogni casone, infatti, il canone annuo è di circa 100 euro. «Il Comune di Caorle - conclude Sarto - ogni anno raccoglie 14 milioni di euro, sette dei quali finiscono nelle casse dello Stato. Mi pare che la cifra legata ai casoni sia la proverbiale goccia nel mare».
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Il Gazzettino